Se la piazza del lavoro divide il “riformismo” del Pd

Serenella Mattera La Repubblica 9 ottobre 2022
Movimentismo o opposizione d’aula. La protesta finisce per spaccare i dem
L’ala laburista vuole riabbracciare i militanti nelle piazze e non farsi scavalcare da Conte. I governisti: “Diremo no ma in Parlamento”

 

Alla ricerca di una via all’opposizione, mentre si tenta di ritrovare se stessi. Tra le spinte di chi vorrebbe un Partito democratico più laburista e “in sintonia con le piazze”, e chi sceglie la via parlamentare, della “coerenza” con il “riformismo” praticato in tanti anni di governo, sia pure accomodati in maggioranze scomode.

È questo il Pd che abbraccia la Cgil, nell’anniversario dell’attacco fascista alla sua sede. È un partito che con le segreterie di Nicola Zingaretti ed Enrico Letta ha recuperato un rapporto di rispetto e confronto, sia pure nell’autonomia, con un sindacato con cui si era persa da tempo una cinghia di trasmissione. È un partito che guarda con non poca preoccupazione, anche se con ostentato distacco, alla discesa nelle piazze – quella del lavoro, quella pacifista – di Giuseppe Conte. È un partito che si prepara, ha detto Letta, a un’opposizione “intransigente”. Ma che è diviso tra chi pensa che si debba ripartire dai cortei e chi invece no. E dovrà decidere nel congresso, che non sa come affrontare, quale opposizione vuol essere.

Un pezzo di Paese che fa da argine democratico
“Io la manifestazione della Cgil l’ho percorsa tutta – racconta a sera con la voce gonfia di speranza Gianni Cuperlo – ed era una piazza che esprimeva un sentimento di opposizione, antifascista, con dentro anche elettori dem che si aspettano un’opposizione dura in Parlamento e nel Paese”. “C’erano tantissime persone, un pezzo di Paese che vuol fare da argine democratico”, commenta Roberto Speranza, che aspetta di capire se davvero nel Pd si avvierà “un processo costituente per una cosa nuova”, prima di decidere se partecipare con Articolo 1. Tra le bandiere della Cgil sfilano anche Nicola Fratoianni, che dal Pd si tiene ben fuori, Stefano Fassina, che ha votato Conte, Laura Boldrini, che si taglia una ciocca di capelli per le donne iraniane, e Susanna Camusso, che guidava la Cgil ed è eletta nel Pd. La sinistra c’è. Anche con Peppe Provenzano, che è vicesegretario: “Dove si unisce un’istanza democratica a una sociale, il Pd deve stare”.

Ricucire il rapporto con la società
“Abbiamo perso perché si è rotto, non di recente, un rapporto ed è una rottura che abbiamo ricucito solo parzialmente. Il Pd deve riconoscere gli errori di analisi commessi e darsi strumenti nuovi”, dice Andrea Orlando che sfila tra i sindacalisti da – ancora per poco – ministro del Lavoro. Per dare continuità a quanto fatto e a quanto non è riuscito a completare, depositerà subito in Parlamento una proposta sul salario minimo. Ma se quel darsi strumenti nuovi vuol dire immaginare un partito più spostato a sinistra, meno largo, un pezzo del Pd non è d’accordo. È quell’area ampia del partito che in piazza non c’era e che pone l’accento sul profilo riformista. “Sul lavoro possiamo portare avanti in Parlamento la nostra opposizione costruttiva senza andare a rimorchio di altri, coerenti con le nostre idee e senza subalternità”, dice Alessandro Alfieri, di Base riformista, l’area che fa capo a Lorenzo Guerini. Il riferimento, neanche troppo velato, è soprattutto a quel Conte con cui la sinistra del partito vorrebbe recuperare un dialogo ma “che ora ha sposato la piazza in modo strumentale”. Dal Nazareno guardano il leader M5s tra i manifestanti e lo paragonano a quei “giovani comunisti anni ’70 che andavano nei luoghi del lavoro dicendosi operai o a Mosca col colbacco”. Un riferimento, quest’ultimo, al suo tentativo di intestarsi anche la piazza pacifista, non ancora convocata. È una piazza, quella, che tenta gran parte dei Dem e soprattutto coloro che a farsi “scippare la parola pace da Conte” non sono disposti. Andare è compatibile, sono convinti al Nazareno, con una linea di sostegno incondizionato all’Ucraina e spinta a una soluzione diplomatica, tanto che potrebbe farlo anche Letta. Purché nella piattaforma non ci siano “ambiguità” verso la Russia.

L’abbraccio fra Letta e Landini
In mezzo a questi tormenti, l’abbraccio tra Letta e Maurizio Landini si consuma nella visita del segretario alla sede Cgil devastata un anno fa. In nome dell’antifascismo, che nel Pd unisce tutti. “Per non dimenticare la violenza neofascista che ha lasciato una ferita nel Paese”. Con un rammarico: è stato un errore del governo Draghi non sciogliere le organizzazioni neofasciste quando più forte era la spinta.

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