Ci vuole un Pd riformista non elitario, come l’Ulivo, come … Prodi

Giovanna Casadio La Repubblica 10 ottobre 2022
Prodi: “Un suicidio sciogliere il mio Pd, ma non sia più elitario”
L’ex premier: “Tornare tra la gente per parlare di problemi concreti. Di nomi e congresso si discuta alla fine”


“Ho speso tutta la mia vita politica per riunire le culture del riformismo. Il Pd va cambiato, dinamizzato, proiettato, ma scioglierlo sarebbe come ripudiare la mia vita, una specie di suicidio, e non ho ancora una volontà suicida”.

Romano Prodi parla a Cesenatico alla Scuola di politiche, creata sette anni fa da Enrico Letta, l’attuale segretario del Pd. Nella platea del Teatro comunale oltre un centinaio di ragazzi, dai sedici ai trent’anni, di tutte le regioni e tipo di studi, pochi tatuati, nessun piercing. Il Professore, ex premier, ex presidente della commissione Ue, “padre” del Pd, li rimbrotta affettuosamente ragionando sull’elitarismo, l’errore dei Dem. “Non fatelo voi… vedo che quasi nessuno qui è tatuato, mentre la maggioranza dei giovani oggi ha tatuaggi, non voglio dire che dovete tatuarvi…”. Ma nessun distacco ci deve essere, perché “non è bene essere populisti, ma neppure elitari”.
Discorso a ruota libera che comincia con la guerra russo-ucraina, l’Europa, il rischio del sovranismo della destra che però “va giudicata sui fatti”, e approda alla ricetta prodiana per uscire dalla palude. E infine un appello a cambiare la legge elettorale con un sistema a doppio turno: “So che in questo sono piuttosto isolato, anche nel Pd, ma credo possa servire a ricomporre l’Italia”. Ce n’è anche per Letta, nella conclusione semi seria con Luca Bottura. “Ma chi gliel’ha fatto fare a tornare da Parigi?”, provoca Bottura. Risponde Prodi: “La politica è una malattia, è come il sesso per gli adolescenti”. Risate e applausi: tra il fondatore dell’Ulivo e i giovani in sala, la connessione sentimentale c’è.

Professore, la funzione del Pd si è esaurita? È tempo di scioglierlo?
“Ho speso tutta la mia vita politica per riunire le culture del riformismo. Il Pd va cambiato, dinamizzato, proiettato. Scioglierlo sarebbe come ripudiare la mia vita, una specie di suicidio, e non ho ancora una volontà suicida. Ma il cambiamento deve essere radicale perché i rapporti con il Paese si sono ristretti molto, vanno ricostituiti”.

Ma come, con un congresso e di quale tipo?
“Cosa farei io. Qui bisogna ricominciare a parlare con la gente delle cose che si discutono a tavola, quindici o venti argomenti: dagli adolescenti alla droga, al lavoro, alla salute, alla ricerca. Ogni settimana venti persone ma non solo del Pd, anche esperti, ne discutono in rete con decine di migliaia di cittadini. Al sabato il segretario dem o chi per lui va di presenza in una città e ne fa una sintesi, a Milano se si dibatte di finanza, a Padova se di volontari. Dopo si fa il congresso sui nomi per la guida del Pd. È una utopia? Sì, ma questo si fa se si vuole rifare un partito. Prima di eleggere un segretario bisogna comporre una linea politica”.

Il metodo che lei adottò con l’Ulivo?
“Quando ci venne l’idea dell’Ulivo, ho girato quattordici mesi con un pullman. I primi tre mesi mi hanno preso come un cretino, ma dai e dai, la gente partecipava, partecipava, partecipava. Questa è democrazia. L’Ulivo non era populista ma non era elitario”.

Quale è stato l’errore del Pd, che ha provocato questa sconfitta elettorale?
“Non sono una maestra con la penna rossa e blu, ma quando vedo la poca durata dei segretari, il gioco del vertice che ha attirato tutta l’attenzione, penso che lì è avvenuto un distacco. Non fatelo voi…vedo che quasi nessuno qui ha tatuaggi, mentre la maggioranza dei giovani oggi ce li ha, non voglio dire che dovete tatuarvi…”.

Crisi del Pd nella più generale crisi dei partiti tradizionali, quindi?
“Il Pd sui media sembra l’unico partito anti democratico…ma è folle, è l’unico partito. Però la crisi dei partiti tradizionali ha portato in Italia a una situazione unica. I miei amici stranieri mi chiedono: come mai voi avete dei fenomeni, avete “rising star”, le stelle nascenti che poi esplodono? Renzi, la Lega, Salvini, i 5Stelle, Giorgia Meloni ora, fenomeni che in pochi anni crescono. Poi scoppiano. E questo riguarda la cultura del nostro Paese, perciò è da ricostruire il legame di politica comune che vada in profondità e non lo si può fare con prevalenza di cattolici né di comunisti, bensì mettendo insieme i diversi riformismi con un programma riformista. E poi ci vuole una legge elettorale che non induca in tentazione coloro che detengono il potere, ora decidono loro chi deve diventare parlamentare. Io sono per il doppio turno alla francese, che può ricomporre l’Italia. È una posizione isolata anche nel Pd, ma mettendo insieme nella seconda votazione coloro che sono omogenei, si può creare una maggioranza che duri cinque anni”.

Il nome Pd deve restare?
“Il nome va benissimo è pieno di significato, meglio di così non si può trovare. Il Paese si è sfibrato negli ultimi vent’anni con i cambi di governi, non si è sfibrato solo il Pd con i cambi di segretari. Bisogna riprendere speranza e dialogare. In Italia abbiamo sempre nuove stelle appunto, perché c’è bisogno di qualcosa che ti faccia sperare e quindi hai sperato in cose evanescenti come i 5stelle perché hai bisogno di uscire dalla palude”.

Al Pd non ci si è aggrappati neppure il 25 settembre?
“Se Enrico avesse avuto più tempo sarebbe stato convincente. Io in un mese non ce l’avrei fatta. Ci sono diversi modi di comunicare, i sentimenti mediati fanno più fatica ad arrivare, ma poi arrivano”.

Il correntismo è una malattia dem grave?
“In un partito ci vuole il pluralismo, debbono esistere le correnti. Ma ci vuole un legame di solidarietà per cui non è che fai un partito esterno. Lo vediamo in questi giorni nel partito conservatore inglese dove le correnti si stanno massacrando. Poi ci vuole solidarietà di fondo”.

La destra al governo la preoccupa?
“Sì, sono molto preoccupato”.

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