Il gioco del trono Pd, tutti esperti governisti

Stefano Cappellini La Repubblica 12 ottobre 2022
Il gioco del trono Pd. Bonaccini in campo e tra Nardella e Schlein ora spunta Amendola
Lo sfidante a sorpresa è il sindaco di Firenze spinto da Franceschini. La paura dei candidati è apparire espressione delle correnti

 

Il congresso del Pd, se si parla di leadership, funziona come il gossip: ufficialmente non sta bene farlo, tanto meno parlare di nomi, nella realtà non si discute d’altro. Non potrebbe essere altrimenti. L’auspicio che si faccia “un congresso di idee” va bene per fare bella figura in società e talvolta esprime intenti sinceri. Poi, comunque, serve un leader vero, a meno di non pensare che sei mesi di dibattiti servano a eleggere un portavoce della piattaforma congressuale.

Dissimulare l’ambizione alle cariche
In un partito ancora permeato delle vecchie liturgie comuniste e democristiane, primo comandamento dissimulare l’ambizione alle cariche, non lo fo per piacer mio, me lo ha chiesto la base, lo vogliono i sindaci, il problema di base degli aspiranti è non sembrare vogliosi di scendere in campo. Un intoppo formale che Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, grande favorito alla successione di Enrico Letta, si avvia a rimuovere presto. Ieri, ospite di Porta a porta, è già passato alla fase due della scesa in campo, quella che prevede le prime aperture ufficiali: “Deciderò nelle prossime settimane se candidarmi alla segreteria del partito”. Aggiungendo subito, naturalmente: “Non è importante essere utili a sé stessi ma alla comunità”. Bonaccini sarà candidato con assoluta certezza. Probabilmente si farà anticipare da un appello di sindaci e amministratori, tra i suoi fan più attivi c’è il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, porterà un profilo riformista modello emiliano-romagnolo, pragmatismo ma anche una dose di orgoglio di partito, lui che ha una lunga trafila di cariche e militanza nel ramo familiare di estrazione postcomunista.

Lo sfidante imprevisto: Nardella
La vera novità degli ultimi giorni è che Bonaccini rischia di avere uno sfidante imprevisto: Dario Nardella. Al momento il sindaco di Firenze è in campo, anche se a differenza del governatore dell’Emilia Romagna, di cui fino a poche settimane fa Nardella era considerato un grande elettore, saranno decisivi i prossimi giorni per la scelta finale. A spingere Nardella c’è senz’altro un pezzo del partito nazionale, su tutti Dario Franceschini, che lo ha chiamato più volte per convincerlo a muoversi. Su di lui potrebbe convergere anche una parte della sinistra interna, al momento ancora alla vana ricerca di un candidato di area e soprattutto convinta che senza un congresso costituente davvero aperto a nuove energie la faida congressuale si chiuderà male e con nuovi danni, leggi scissioni. In questi mesi Nardella ha coltivato un rapporto di collaborazione leale e reciproca con Enrico Letta, che comunque non farà campagna per nessuno, e si è convinto che sia il momento giusto per farsi avanti. D’altra parte è comprensibilmente terrorizzato all’idea di apparire come il candidato delle correnti romane, etichetta che lo condannerebbe a sconfitta praticamente certa. Ma quello delle correnti è un problema più che altro nella fase del voto aperto delle primarie – il congresso, infatti, a meno di cambio in corsa delle regole si svolge in due fasi: prima si esprimono gli iscritti, poi i due più votati si sfidano ai gazebo – il sindaco di Firenze ha un problema più immediato: come differenziarsi politicamente da Bonaccini? A un Nardella spostato sull’asse sinistro del partito è difficile credere, ed è difficile possa crederci lui per primo, per il resto le differenze con il rivale paiono più caratteriali che di linea politica. Più istintivo e sanguigno Bonaccini, più posato e felpato Nardella. A cercare altri motivi di contrapposizione si fatica non poco. Ad accomunarli, peraltro, c’è un altro tratto, l’essere stati entrambi molti vicini a Renzi, Bonaccini da coordinatore della segreteria e Nardella da esponente di punta della corrente, oltre che successore alla guida del Comune di Firenze. Un passato, quello renziano di entrambi, messo alle spalle e metabolizzato, ma che spinge la sinistra interna a prefigurare sconquassi opposti a quelli profetizzati da Renzi in caso di vittoria di Elly Schlein – ci arriviamo tra poco – e cioè un ulteriore smottamento elettorale verso Giuseppe Conte e la sua stagione rossa.

La variabile Schlein
A proposito di Schlein. La sua partecipazione al congresso è la variabile più rilevante. Di tutti i leader virtuali, è l’unica candidata giustificata a mostrarsi prudente, dato che con le regole attuali non è nemmeno chiaro se, lei che al momento non è nemmeno tesserata dem, possa partecipare alla contesa. Tutti gli indizi, quelli occulti e quelli più espliciti, raccontano della sua volontà di esserci. Dalla sua ha la forza di essere l’unica vera candidata di rottura, e anche la sola che può portare nel congresso una ventata emotiva. Secondo i sondaggi, è anche la più titolata a contendere a Bonaccini la vittoria. Contro, ha la debolezza nella conta interna tra gli iscritti e una linea politica molto definita sui diritti civili e sull’ambientalismo e meno su altri temi decisivi, per esempio l’economia e la guerra. L’ultima volta che le è stata chiesta un’opinione sull’invio di armi all’Ucraina, la risposta non è stata chiara, ma pareva più affine alla linea Conte che a quella Letta. Schlein potrebbe in teoria contare sul sostegno della sinistra interna. In teoria. Peppe Provenzano è impegnato per ora nella battaglia per trasformare il congresso in un percorso costituente vero (“Non possiamo chiedere a chi vuole partecipare di prendere la tessera del partito”, ha spiegato a tutti negli ultimi giorni) e si rifiuta di entrare ora nel toto-leader. Molti sono convinti che alla fine possa sostenere Nardella, dato che Bonaccini incarna gli antipodi della sua visione politica. Andrea Orlando, che è sulla stessa linea di Provenzano, potrebbe alla fine pure partecipare in prima persona, se la richiesta sulle modalità di apertura all’esterno fosse accolta, mentre esclude di candidarsi con regole attuali.

Il candidato più coperto: Amendola
Poi c’è Enzo Amendola. Oggi il possibile candidato più coperto. L’ex ministro del governo Conte e sottosegretario di quello Draghi, i cui rapporti con Letta sono usciti molto deteriorati dalla vicenda delle liste, ci sta pensando. Aspetta di capire bene le regole di ingaggio. Tra i suoi sponsor ci sarebbe – per ciò che il ruolo permette, ovviamente – il commissario europeo Paolo Gentiloni. Ma chi conosce bene Amendola è convinto che si muoverà solo se a chiederglielo sarà un pezzo robusto di partito. Al momento non è così. Una questione che non si sono posti i due candidati già ufficialmente in campo, l’ex ministra Paola De Micheli (“Con me ci sono già tante persone sui territori”, assicura) e Matteo Ricci, un altro sindaco, di Pesaro. Un pensiero al congresso l’ha fatto il collega Antonio Decaro, primo cittadino di Bari. Che, però, a differenza di Nardella, è molto più incerto.
I nomi sono questi. Se ci sarà ancora un partito da guidare, e unito dopo le primarie, è la sfida che tutti devono superare.

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