Trattative Usa-Russia, le disponibilità e la prudenza nel gioco comunicativo

Giuseppe Sarcina Corriere della Sera 12 ottobre 2022
Putin-Biden, i contatti tra diplomatici e la mediazione di Erdogan. Si lavora a un avvicinamento per novembre
Nelle settimane scorse la Casa Bianca non ha escluso un incontro con lo zar al vertice in Indonesia. Ma l’obiettivo del prossimo mese è rilanciare il supporto alla resistenza

 

Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, fa sapere che Vladimir Putin «potrebbe prendere in considerazione» l’idea di un faccia a faccia con Joe Biden , a margine del summit del G20, in programma il 15 e il 16 novembre a Bali, in Indonesia. Lavrov ha aggiunto: «Naturalmente tutto ciò qualora ci venisse inoltrata una proposta». Il tono sussiegoso del ministro ha fatto infuriare i parlamentari del Congresso americano, già sconvolti dai missili lanciati sulle città ucraine in modo indiscriminato.

Per tutti valgono le parole di Robert Menendez, democratico, presidente della Commissione Esteri del Senato: «Mi impegno a usare ogni mezzo a mia disposizione per accelerare l’appoggio al popolo ucraino in modo da annientare la macchina da guerra dei russi». A Capitol Hill si avverte uno stato d’animo simile a quello di inizio aprile, quando si scoprirono i massacri di Bucha. Indignazione, rabbia, spinta per una reazione durissima.

Joe Biden non può prescindere da questi umori di fondo, diffusi tra i democratici e i repubblicani di Washington e che riflettono l’inclinazione di gran parte dell’opinione pubblica americana.

Tuttavia, nei giorni scorsi, il presidente americano «non aveva escluso» un vertice con Putin (e nella notte dell’11 ha fatto un’ulteriore apertura). Una posizione, quindi, nettamente diversa da quella assunta da Volodymyr Zelensky. Il leader ucraino continua a ripetere di «non essere disponibile» a trattare con la Russia, fino a che al vertice ci sarà Putin. Ma Biden e, soprattutto gli europei, non vogliono e non possono spingersi fino a tanto. Il governo Usa non sta lavorando per un cambio di regime a Mosca.

Non ci sono, però, conferme ufficiali, solo indizi non verificabili di contatti in corso tra le diplomazie americane e russe, con il contributo, questo certo e palese, dell’iperattivo presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

L’Amministrazione Usa ha comunque tracciato il percorso di avvicinamento, da qui alla metà di novembre. Ieri Biden ha chiesto ai partner del G7, convocati d’urgenza dal presidente di turno, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, di «continuare a sostenere con decisione la resistenza ucraina, fino a quando sarà necessario». Parole poi riprese, praticamente alla lettera, nel comunicato finale. È l’ennesima dimostrazione che, come accade dall’inizio della guerra, la leadership americana è fuori discussione. Nessun cedimento, dunque, al ricatto putiniano. Al contrario: gli Usa e il blocco occidentale rilanciano.

Oggi e domani, a Bruxelles, il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il capo di Stato maggiore Mark Milley guideranno la riunione con i ministri della difesa Nato e poi con il gruppo dei 50 Paesi che forniscono armi a Kiev. Sul tavolo le ultime richieste di Zelensky: servono con urgenza sistemi di difesa area, in sostanza batteria di missili come i Patriot, carri armati e artiglieria con una gittata fino a 300 chilometri.

Lunedì 10 ottobre, Biden ha chiamato il leader ucraino e gli ha assicurato che avrà i sistemi di difesa area. La questione, ora, è quando. Il Pentagono, per esempio, accelererà la consegna di due sistemi Nasams (National Advanced Surface to Air Missile System), missili terra-aria. Il pacchetto ne prevede altri sei, ma le aziende costruttrici, l’americana Raytheon e la norvegese Kongsberg hanno fatto sapere che saranno pronte «tra anni».

È un problema più generale, basta dare un’occhiata ai dati raccolti dal Kiel Institute for the World Economy (Germania): gli Stati Uniti hanno promesso aiuti militari per 15,21 miliardi ; ma, al 3 ottobre scorso, risultava giunto a destinazione solo il 16,7% (2,55 miliardi di dollari). Anche di questo si discuterà oggi sia in sede Nato che nel gruppo di contatto: è indispensabile velocizzare il più possibile la consegne, anche per mandare un segnale non solo militare, ma anche politico a Putin.

La guerra va avanti, in attesa di capire se le mezze aperture del Cremlino siano credibili, oppure, come dice Zelensky, rappresentino solo delle manovre fuorvianti. Nello stesso tempo, sempre nel vertice Nato, Stati Uniti, con la sponda di Polonia e dei Paesi baltici, solleciteranno gli altri partner a potenziare ulteriormente il fianco Est europeo. Lo ha anticipato ieri l’ambasciatrice americana presso l’Alleanza atlantica, Julianne Smith: «Dobbiamo continuare a rafforzare il presidio di deterrenza sul versante orientale e arrivare a una maggiora capacità di integrazione tra le nostre forze».

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