Lo scontro è sui nomi, ma l’affondo di Meloni è la certezza sui numeri

Tommaso Ciriaco, Emanuele Lauria, Serenella Mattera La Repubblica 14 ottobre 2022
Forza Italia in frantumi frena l’intesa sul governo Meloni: “Basta ricatti”
L’accordo sulla Camera oggi alla prova dei numeri. I berlusconiani: da soli alle consultazioni. In un appunto i desiderata del Cavaliere: “La sfiducia alla Ronzulli è una sfiducia contro di me”

 

“L’ho creata io”, quasi urla Silvio Berlusconi nella notte carica di rabbia di villa Grande. Parla di Giorgia Meloni, che l’ha consegnato all’irrilevanza nel voto sulla presidenza del Senato. Accanto a lui, un partito disintegrato che deve decidere cosa fare stamane, nella conta per la guida di Montecitorio. Antonio Tajani non si espone ma la sua linea è chiara: consiglia di votare per Lorenzo Fontana, in modo da non replicare la sconfitta di Palazzo Madama (e blindare la propria corsa al ministero degli Esteri). L’ala che fa capo a Licia Ronzulli – esclusa dall’esecutivo – preme per reagire scegliendo astensione o scheda bianca, affossando il leghista. Il capo rinvia ogni decisione a stamattina, prima dell’Aula.

Il suo auspicio è che Giorgia Meloni ceda, consegnando ministeri di maggior peso a Fi, “cancellando – sostiene l’anziano leader – i veti suoi nostri dirigenti”. Il problema è che la prossima premier non ha nessuna intenzione di mollare. E anzi, ai suoi detta una linea netta, figlia del braccio di ferro vinto a Palazzo Madama: “Tutti dovrebbero aver capito che non mi faccio ricattare. E i problemi dell’Italia non consentono sciocchi personalismi”. Un conflitto che spinge gli azzurri anche a valutare la possibilità di partecipare alle consultazioni del Quirinale con una delegazione autonoma.

Lo scontro Meloni-Berlusconi
Quelli che Berlusconi chiama veti, Meloni li definisce scelte sui ministri più “autorevoli per il governo”. È il cuore dello scontro, durissimo, che si consuma al mattino negli uffici del gruppo di FdI. La vincitrice delle elezioni accoglie il Cavaliere. Quindici minuti di scontro aspro. Ai profili proposti dall’ex premier, lei oppone rifiuti o richieste di aggiustamenti su alcune caselle. “Giorgia, stai sbagliando! – si arrabbia l’ex premier – E poi questa storia della Ronzulli non va bene, sono io che scelgo in casa mia”. “No, Ronzulli non sarà ministro”, la secca replica. Seguita da una previsione: avremo comunque i voti per eleggere La Russa.

Come un reperto che congela il duello, Berlusconi porta con sé un foglio scritto a mano con i desiderata di Forza Italia. È lo stesso che consulta nell’Aula del Senato pochi minuti dopo, e che Repubblica riesce a leggere. L’elenco recita: “Tajani agli Esteri, Casellati o Sisto alla Giustizia, Bernini all’Università, Ronzulli alle Politiche europee (o, aggiunto a penna, “al Turismo o alla Famiglia e agli Anziani”), Gasparri alla Pubblica amministrazione. Altro ministero per Cattaneo (con cinque alternative possibili, tra cui Ambiente e Salute). Delega all’Editoria a Barachini”. E ancora, come un promemoria di quanto detto (urlato) a Meloni: “Chi comanda davvero nella coalizione, comando io e basta. Mostri maturità. L’atto di sfiducia a Ronzulli è un atto di sfiducia a me e a Forza Italia”. La presidente del Consiglio in pectore non vuole Ronzulli nell’esecutivo, ma non accetta neanche di offrire la Giustizia a Berlusconi (preferirebbe Carlo Nordio). E chiede anche che gli altri nomi siano associati a caselle diverse. L’appunto del Cavaliere contiene anche un piccolo giallo: “Ministero del Sud (Mara Carfagna)”. Un lapsus, visto che la deputata milita in Azione, oppure una notizia?

La battaglia di Montecitorio
Si vedrà. Molto dirà l’esito della battaglia di Montecitorio. Da oggi infatti per eleggere il Presidente è necessaria la maggioranza assoluta dell’Aula, dunque 201 voti. E il centrodestra può contare su 235 deputati. Sulla carta, dunque, i 48 scranni di Forza Italia risultano decisivi. È un passaggio critico, perché gli azzurri potrebbero finire per bruciarsi di nuovo, a causa del sostegno di pezzi dell’opposizione nel segreto dell’urna. Stavolta, però, le opposizione potrebbero anche decidere di muoversi in modo compatto, scegliendo scheda bianca. L’alternativa la propone Maria Elena Boschi: “Scegliamo un nome unico delle opposizioni”. Una strategia che esporrebbe però le minoranze al rischio di un bis del Senato.

Salvini candida Fontana
E poi c’è il Carroccio. Salvini sceglie di sostenere la linea di Meloni a Palazzo Madama, incrinando vistosamente il fronte comune che lo unisce a Berlusconi e Ronzulli. E, a sera, propone per la guida di Montecitorio il nome di Fontana. L’opzione spunta al termine di un vertice in cui il leader leghista chiede un passo indietro a Riccardo Molinari. Fonti del partito negano che il problema sia un processo per falsificazione di atti elettorali. E Salvini motiva il sacrificio con la necessità di far restare il capogruppo in un “ruolo strategico”. Fatto sta che Molinari, alle sei del pomeriggio, in Transatlantico ha il volto scurissimo. Dietro la decisione, l’esigenza di un riequilibrio interno: alla Lega veneta, sempre più inquieta, la guida della Camera. Al lombardo Calderoli andrebbe il ministero delle Riforme, “risarcimento” per il passo indietro. Dettagli. Prima c’è da capire come si concluderà il duello tra Meloni e un Cavaliere sempre più isolato.

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