L’opposizione alla prova degli strapuntini

Andrea Fabozzi il Manifesto 16 ottobre 2022
Nomine, l’opposizione unita non dovrebbe trattare
Il 19 ottobre si completano gli uffici di presidenza di camera e senato. Come funziona il sistema del voto limitato: se Pd, M5S e Azione trovassero un accordo non avrebbero bisogno di cercare intese private con la maggioranza

 

Divise nella votazione per la presidenza del senato, tanto da aver regalato una ventina di voti a La Russa, le opposizioni sono andate ognun per sé anche nella votazione per la presidenza della camera, senza riuscire a opporre al leghista nero Fontana una sola candidatura di bandiera. Pd, M5S e Azione hanno scelto ciascuno la sua bandierina (Guerra, De Rhao e Richetti) provando una volta ancora l’incapacità di stringere intese anche minime. Ma qui c’è Rodi e mercoledì bisognerà saltare: arriva il momento dell’elezione degli uffici di presidenza (consiglio di presidenza al senato) e se le opposizioni non riuscissero a trovare un’intesa potrebbero consentire al centrodestra di fare cappotto.

Nessuna regola, solo una rispettosa e rispettata prassi, vieta infatti alla maggioranza di prendersi tutto il pacchetto guida delle camere, vale a dire (oltre ai presidenti) quattro vicepresidenti, tre questori e otto segretari. I numeri degli incarichi di vertice sono questi e sono rimasti identici malgrado le camere si siano ridotte. Numeri identici non solo alla camera, dove il regolamento è rimasto quello vecchio, ma anche al senato che pure le modifiche le ha fatte per adeguare il regolamento con i suoi numeri e quote al nuovo plenum più magro: sulle poltrone di vertice non c’è stato alcun ritocco.

In entrambe le prossime votazioni (alle 14 di mercoledì la camera, alle 15 il senato) deputati e senatori possono scrivere sulle schede un numero di nomi inferiore ai posti in palio: due per i vicepresidenti (su quattro da eleggere), 2 anche per i questori (che sono tre) e quattro per i segretari (che invece sono otto, alla camera in teoria potrebbero anche crescere di numero). Un sistema di voto che serve a lasciare spazio alle minoranze, ma che può non servire allo scopo e lasciare tutto il bottino alla maggioranza quando questa ha grandi margini sulle opposizioni, come si verifica adesso, e se le opposizioni sono divise, come fin qui è stato. In altre parole, perché le opposizioni possano aggiudicarsi due vicepresidenze, un questore e quattro segretari, dovrebbero mettere insieme una forza numerica pari almeno alla metà dei voti della maggioranza, che altrimenti potrebbe accordarsi e dividere i suoi voti su due coppie o quaterne di candidati da indicare sulle schede.

Lunedì saranno formati i gruppi parlamentari che martedì eleggeranno anche i presidenti, dunque i calcoli saranno confortati dall’ufficialità. Ma è già chiaro che per raggiungere la metà dei 235 voti del centrodestra alla camera e dei 115 al senato non bastano i soli voti del Pd e nemmeno del Pd con i 5 Stelle, serve un’intesa anche con Azione nei due rami del parlamento. A meno che l’intesa il Pd da solo o il Pd con i 5 Stelle o ancora il Pd e i 5 Stelle ognuno per proprio conto non la trovino direttamente con il centrodestra che naturalmente può rinunciare alla sua chance di fare cappotto. Ipotesi possibile a ulteriore conferma di quanto anche l’opposizione somigli a un campo di Agramante.
Presentandosi anche alla partita degli uffici di presidenza ognun per sé, Pd, M5S e Azione lasceranno alla maggioranza la possibilità di disporre a piacimento dei suoi voti in eccesso. Magari anche per pagare qualche debito contratto con l’elezione di La Russa.

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