Xi rinvia i dati sull’economia, controllo dello stato e nuove tecnologie per la ripresa

Guido Santevecchi Corriere della Sera 18 ottobre 2022
Xi costretto a rinviare i dati sull’economia
Colpo di scena a Pechino che rivela le difficoltà dell’economia: il Bureau statistico ha deciso di ritardare la pubblicazione del risultato del Pil nel terzo trimestre, prevista per domani. «Posticipato», c’è scritto sul sito dell’ufficio, senza spiegazione.

 

Evidentemente il Partito ha pensato bene di non turbare i lavori del XX Congresso comunista con numeri sgradevoli. «Il trend di ripresa è notevole», aveva affermato poco prima Zhao Chenxin, vicedirettore della Commissione nazionale di sviluppo e riforma. Il secondo trimestre si era chiuso a +0,4%, il risultato peggiore da quando nel 1990 Pechino ha cominciato a diffondere i dati sul Prodotto interno lordo: solo nel primo trimestre del 2020, con il Paese completamente fermo per la pandemia, c’era stata una contrazione a -6,8%. Subito dopo era partita una ripresa spettacolare.

Nel discorso di ieri Xi ha avvertito che si profilano «pericolose tempeste», ma non ha segnalato alcun cambiamento per quanto riguarda i due principali fattori di rischio che stanno frenando di nuovo la crescita.

1) Ha elogiato «la guerra totale del popolo contro il Covid-19» (tralasciando di dire che molte manifestazioni di frustrazione e insofferenza si sono svolte per i lockdown continui nelle grandi città).

2) Ha promesso di nuovo «prosperità condivisa» alle masse, impegno giustificato dalla forte diseguaglianza sociale: ma la sua ricetta al momento si è basata sul ristabilimento del controllo statale sulla produzione. Nel discorso di ieri non ha citato il problema del crollo del mercato immobiliare, che rappresentava oltre il 20% del Pil.

Xi ha indicato ai cinesi «frugalità» e «sviluppo di alta qualità» e modernizzazione per coprire il calo della crescita. Ha esaltato il settore tecnologico come «prima forza guida». Però, proprio la stretta del suo Partito-Stato sull’industria tecnologica ha bruciato 1.000 miliardi di dollari di valore di mercato delle imprese cinesi, da Alibaba a Tencent.

E ora dovrà fare i conti anche con il piano di Joe Biden per tagliare fuori la Cina dalle forniture di semiconduttori sviluppati in Occidente. Al momento, in questo settore chiave, Pechino è indietro di anni. Per rallentare lo sviluppo (anche militare) della Cina nel campo dei microchip, Washington ha imposto nuove restrizioni nell’export che comprendono anche l’attività di dirigenti americani che lavorano per l’industria tech cinese. Secondo un’analisi del Wall Street Journal, almeno 43 senior executives impiegati in 16 società cinesi che sviluppano semiconduttori hanno nazionalità americana e dovrebbero lasciare i loro incarichi.

Ecco perché Xi da una parte minaccia di riprendere Taiwan con tutti i mezzi e dall’altra invoca una «comunità mondiale del destino condiviso». Ecco perché oggi il compagno vicedirettore Zhao Chenxin ha ripetuto che la globalizzazione è un fenomeno irreversibile e nessuno può chiudere le porte. La Cina «è profondamente integrata con l’economia mondiale» e dice no a quei Paesi che vogliono costruire un «piccolo cortile dalle alte mura» per la separazione delle economie. Decodificato: Xi promette di tenere aperta la Cina (o meglio, di riaprirla parzialmente quando avrà deciso che il Covid Zero è irraggiungibile anche con i lockdown). Ma punta ancora ad imporre le regole del gioco.

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