Sulle vicepresidenze la spaccatura è prima di tutto tra Renzi e Calenda

Giovanna Vitale La Repubblica 19 ottobre 2022
Sulle vicepresidenze prime crepe nel Terzo polo. Il Pd apre, Azione frena ma Iv: “Ok a un incontro”
I dem aprono: “Chiediamo risposta univoca”. Renzi non sarà alle consultazioni

 

Chiusa la partita dei capigruppo, oggi pomeriggio toccherà alle assemblee di Camera e Senato eleggere i rispettivi Uffici di presidenza. Un voto che si preannuncia carico di tensione, alimentata da una vigilia di scontri all’arma bianca soprattutto fra le fila dell’opposizione. Con scambi di accuse pesanti fra Pd e Azione/Iv, i cui rapporti sono ormai ridotti al minimo. In ballo ci sono poltrone pesanti: quattro vicepresidenze a Palazzo Madama e altrettante a Montecitorio; più tre posti da questore e otto da segretario d’aula per ciascun ramo del Parlamento. Una trentina fra deputati e senatori, con tanto di staff e benefit, in grado di orientare e condizionare il funzionamento di due fra le massime istituzioni del Paese.

Un gioco, data l’importanza della posta in palio, che quasi tutti i partiti stanno conducendo a carte coperte. L’unico ad averle calate sul tavolo è Enrico Letta, che ieri ha indicato come vicepresidenti in quota dem Anna Ascani alla Camera e Anna Rossomando al Senato, a completamento del poker di donne imposto dal segretario con la conferma delle capigruppo uscenti Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Il M5S ha invece fatto sapere che stamattina metterà ai voti la sua rosa: per la vicepresidenza di Palazzo Madama la più accreditata è Mariolina Castellone, per Montecitorio si fanno i nomi dell’ex ministro Sergio Costa e dell’ex sottosegretaria Alessandra Todde.

Nient’altro che “una combine” demogrillina per escludere il Terzo polo, hanno subito denunciato i Matteo Renzi e Carlo Calenda. Facendo infuriare Letta, che nell’assemblea dei senatori accusa i due di “provocazioni continue e attacchi insopportabili”. Ma la tesi di Azione, sostenuta da Enrico Costa, non cambia: “Pd e M5S si sono messi d’accordo per farci fuori, una logica spartitoria che fa a pugni con la rappresentanza di tutte le opposizioni”. Peccato però che quando ieri Marco Meloni, braccio destro di Letta al Nazareno, ha chiamato il capogruppo di Azione alla Camera, Matteo Richetti, per intavolare una trattativa, quello gli abbia risposto “ti faccio sapere”, senza più richiamarlo.

Versione tuttavia contestata dai calendiani: la telefonata c’è stata, ma alla precisa richiesta di dare una vicepresidenza al Terzo polo, sarebbe stato opposto “un categorico no”. E dunque “perché vedersi? È inutile, basta giochetti”, la replica piccata di Richetti. Che però fa a pugni con l’apertura manifestata dalla capogruppo al Senato (tendenza Iv) Raffaella Paita: “Se è vero che il Pd si è reso disponibile a un incontro noi siamo pronti a farlo”. “Chiediamo una risposta univoca”, fanno sapere dal Pd.

La diversità di vedute nel Terzo Polo che potrebbe innescare una retromarcia rispetto all’Aventino proclamato da Calenda: “Sugli uffici di presidenza non voteremo”. Ennesimo segno dei dissapori che regnano nel gruppo centrista. Culminati ieri nell’annuncio, fatto dal leader di Azione, su Renzi che non avrebbe fatto parte della delegazione per il Quirinale. Una comunicazione che avrebbe parecchio indispettito il capo di Iv. Ingrossando le voci di frizioni e sospetti tra i due, nati dopo l’elezione di La Russa alla guida del Senato. Difficili da frenare, nonostante le smentie.

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