Maurizio Lupi, la “lavatrice” dc che ruba il mestiere a Renzi e Calenda

Daniela Preziosi Domani  20 ottobre 2022
 
Grandi manovre
 
Il moderato Lupi con pochi voti s’è preso centro della scena Il leader di Noi moderati, esperto di navigazione in acque difficili, è  grazie ai collegi uninominali. E ora sembra destinato a occupare lo suscito a eleggere un po’di parlamentari pazio cui ambivano Renzi e Calenda

 

Nel Transatlantico della Camera, mentre circola la notizia di un nuovo “audio” filoputiniano di Berlusconi (poi arrivato nel pomeriggio), intorno al presidente Maurizio Lupi si muove quella geometria umana che nei palazzi indica, senza bisogno di conferme esplicite, un indiscutibile movimento di ascesa. O, meglio, di nuova ascesa: perché Lupi ha una storia politica lunga e piena di capitoli, di alti e di bassi. Da democristiano, nel 1993, è stato consigliere comunale a Milano con il sindaco leghista Marco Formentini; nel 1997 è passato a Forza Italia, è stato assessore nella giunta di Gabriele Albertini, nel 2001 è diventato deputato e vicepresidente della Camera per il Popolo della Libertà. Ministro delle Infrastrutture con il premier Enrico Letta. Nel novembre 2013, in nome della stabilità, mentre Silvio Berlusconi lasciava il governo Renzi al suo destino, è passato con Angelino Alfano ed è rimasto ministro. Nel 2018 è stato di nuovo eletto, ma stavolta conia sua Noi con l’Italia—Udc. Ora è in parlamento con una manciata di voti e parlamentari, ma con una sapiente scelta di collegi uninominali, gentilmente concessa da Fratelli d’Italia, soprattutto per lungimiranza.

Spirito di servizio Lupi è il più classico, cortese, anche elegante, profilo di chi c’è sempre: da moderato. Che quando serve si fa avanti e quando no resta di lato, senza fare troppe storie, sapendo che prima o poi la ruota gira e qualsiasi governo ha bisogno di un centrista che abbia uno spiccato spirito di servizio per il governo. Anche quello delle due destre radicalissime di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. E così ora, dopo una campagna elettorale da quarta gamba, sempre un po’ trascurata dalle tv, sempre un po’ dimenticata dagli alleati (cosa che ha fatto moderatamente notare in ogni riunione); una campagna elettorale da variabile dipendente, da vaso di coccio in mezzo a un trio di forze gladiatorie — Fratelli d’Italia, Lega e, in qualche maniera, Forza Italia — ecco che con cortesia e moderazione Lupi potrebbe diventare essenziale. E non solo per il suo savoirfaire che gli consente di parlare con tutti, e che lo porta a essere indicato come ministro dei Rapporti con il parlamento in una legislatura che, lo si capisce da queste ore, non sarà una passeggiata di salute.

ll Renzi delle destre Oggi Meloni gli affida un secondo compito, anche più delicato, e cioè di trasformarsi in una calamita per i forzisti non di rito renzulliano che cominciano

a mostrare evidenti maldipancia nei confronti delle intemperanze disinibite di Silvio Berlusconi. E cioè, anche di ricoprire il ruolo in cui, dalla parte delle minoranze in lizza fra di loro, hanno scommesso anche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Che aspettano che dall’esplosione di Forza Italia, arrivi una transumanza a rimpolpare le smilze file di Italia Viva e Azione. Presto, dunque, ma senza fretta potrebbe arrivare il momento d’oro di Noi Moderati. Per Meloni è un’operazione che potremmo chiamare di “limitazione del danno” — usando l’odiata espressione degli antiproibizionisti —. Per Lupi è semplicemente il naturale esercizio della sua natura, di antica radice democristiana ma indispensabile in tutte le stagioni. Una natura che consente persino miracoli, se l’espressione non fosse irrispettosa per un cattolico da sempre vicino a Comunione e liberazione. Uno che, senza scossoni, negli anni in cui è stato ministro lettiano, è stato capace di sostituire nei cuori del movimento la stella di Roberto Formigoni, il “Celeste”, che intanto si andava spegnendo in mezzo ai guai giudiziari. Oggi deve persino provare a trasformare i lupi in agnelli: ovvero tramutare un filonazista come Calogero Pisano, eletto in Sicilia nelle liste di Meloni ma sospeso dopo un post che inneggiava a Hitler e Putin, in un sincero moderato, come le ha chiesto Giorgia Meloni, che ha eletto Pisano nelle sue liste ma avendolo sospeso. E ora lo affida alle sue cure per la riabilitazione.

La rivincita Ieri intanto in Transatlantico Lupi aggiustava spigoli, come sempre nella sua carriere politica. Ai cronisti che gli chiedevano un commento sulla storia dello scambio epistolario «dolcissimo» fra Berlusconi e Putin, rispondeva: «Quando una dichiarazione è sbagliata è sbagliata e mi sembra che Berlusconi abbia immediatamente chiarito la sua posizione» ma la posizione «di Forza Italia e del centrodestra nei confronti di Putin e della sua politica è chiara», «Valgono non le parole», anche quando, ammette, le parole sono inascoltabili, «ma i fatti: Berlusconi e Forza Italia hanno sempre avuto una posizione decisamente a fianco dell’Ucraina».

Con la stessa squisitezza di modi sempre ieri prendeva la soddisfazione di rallegrarsi platealmente per l’assoluzione in appello dei coniugi Renzi, papà e mamma dell’altro suo ex premier. Il guaio è che dal governo Renzi Lupi si è dovuto dimettere, come effetto collaterale dell’inchiesta Grandi opere: alcuni suoi collaboratori erano stati indagati per corruzione, e l’allora premier gli ha chiesto di farsi da parte, «per questioni di opportunità». Renzi all’epoca era parecchio meno garantista di oggi. Oggi Lupi si prende la rivincita morale: «Oltre alla solidarietà con Renzi e con i suoi genitori per l’ingiusta gogna mediatica a cui sono stati sottoposti per anni, riproporrò con forza un punto del nostro programma sulla giustizia: che l’avviso di garanzia resti segreto fino al rinvio a giudizio dell’accusato». Una cortesia immeritata verso Renzi, e insieme l’ultima rivincita: sfilargli i forzisti che il leader Iv aspetta. Ma con cortesia, moderazione, insomma senza lo spirito agonistico del fiorentino. Spiegando anzi ai cronisti: «Scissioni? Voi le sperate, ma non ci saranno».

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