Reti Mediaset, un bel problema raccontare la nuova serie della signora Meloni

Giandomenico Crapis il Manifesto 20 ottobre 2022
Le reti Mediaset ai tempi del governo Meloni
La ‘destra televisiva’ tutto ha mostrato di essere in questi anni meno che capace di proporre una propria agenda: del resto non è mai riuscita a mostrarsi autonoma, ad essere critica con la propria parte, in grado, come si dice, di farle le pulci.

 

Adesso viene il bello. Penso alla ‘destra televisiva’ che spopola su Mediaset da più di un decennio (prima non aveva molto seguito) e il cui contributo alla causa non è stato indifferente nel costruire lo storico risultato del 25 settembre.

D’ora in poi sarà divertente assistere ai programmi di Del Debbio, Giordano e soci; a tutte quelle trasmissioni, cioè, che, ancor prima di farsi portavoce delle issues della destra o di fare scempio del pluralismo lasciando i microfoni solo ai suoi rappresentanti, hanno fatto della rabbia la loro materia viva e promosso l’inciviltà (in verità non i soli) come cifra comunicativa. Adesso che Meloni si appresta a fare il premier dove poseranno lo sguardo le telecamere di Dritto e Rovescio o quelle di Fuori dal coro, cosa ne sarà dell’indignazione in servizio permanente effettivo una volta che il centrosinistra ha lasciato il governo? Faranno ancora da megafono, questi programmi, alla protesta endemica o piuttosto vi metteranno la sordina, magari parlando d’altro?

Perché la ‘destra televisiva’ tutto ha mostrato di essere in questi anni meno che capace di proporre una propria agenda: del resto non è mai riuscita a mostrarsi autonoma, ad essere critica con la propria parte, in grado, come si dice, di farle le pulci. Al contrario della fu ‘sinistra televisiva’ dei Santoro o dei Lerner che spesso riuscì a collidere con il proprio campo di riferimento, fino a subirne l’ostracismo. Qualcuno forse replicherà ricordando come anche la tv di Santoro e Lerner desse voce alla rabbia e all’indignazione. Ma a parte che, come detto, quello sdegno colpiva a 360 gradi e quindi anche a sinistra, al centro di programmi come Samarcanda c’erano la mafia e la corruzione, mentre la rabbia nasceva da un’onda di vergogna civile per una politica pervasa dal malaffare, per un potere inquinato dalle mafie e spesso incapace di fornire risposte. C’era l’aria, dietro quegli schermi, di un passaggio storico: una rivelazione che annunciava una rivoluzione (e dispiace che sia sfuggito a qualche storico).

Oggi siamo lontanissimi da quelle rappresentazioni: nelle sceneggiate della ‘destra televisiva’ (spesso costruite ad arte, come raccontano gli anonimi giornalisti Mediaset autori di Caccia al nero) si rintraccia piuttosto l’intolleranza etnica, la rivolta fiscale degli evasori, il familismo securitario, l’individualismo esasperato scagliato contro lo Stato. Allora sarà davvero interessante vedere cosa accadrà nei prossimi anni, quale giornalismo metteranno in campo le reti Mediaset dopo aver tirato una lunghissima volata alle destre italiche. Una di queste sere a Dritto e Rovescio il conduttore ad un certo punto affermava, parlando di Meloni (e con ragione) ‘diamole tempo’. Beh, non penso di sbagliarmi se immagino che forse sarà questo il leitmotiv di certi talk politici nel prossimo futuro: prima di cambiare argomento.

P.S.: fa cadere le braccia l’ennesima polemica in Rai, Fiorello versus Tg1. Nell’informazione del servizio pubblico c’è una battaglia di qualità, più che di quantità, (vaste programme) da fare (anche da parte dell’Usigrai). In questo senso, restando alla Rai, la nota positiva viene dal nuovo programma di Marco Damilano, Il Cavallo e la Torre, un formato anomalo rispetto a quelli imperanti sulle reti tv, una scommessa vinta da viale Mazzini che dimostra come si possa coniugare la buona informazione con gli ascolti anche senza ricorrere alla rissa, i bla bla inutili, il darsi sulla voce e gli applausi farlocchi. Per inciso l’unico costretto a pubblica ammenda da un Garante che, per altro verso, di fronte alle gravi violazioni elettorali sulle reti berlusconiane si accinge a comminare (?) la solita inutile sanzione ‘a babbo morto’.

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