Fiorello cambia canale: il naufragio della Rai, tra feudalesimo e Cencelli

Massimiliano Panarari La Stampa 21 ottobre 2022
Fiorello cambia canale: il naufragio della Rai, tra feudalesimo e Cencelli
Il naufragio (inevitabile) dopo la tempesta. Anche se un approdo è tortuosamente arrivato. Al prezzo, però, giustappunto, dell’affondamento della (rete) ammiraglia Rai 1.

 

La querelle intorno a Fiorello, fuori dalla metafora nautica, racconta – una volta di più – del caos non calmo che si sprigiona nei corridoi di Viale Mazzini di fronte ad alcune scelte che dovrebbero risultare pacifiche e, invece, si trasformano inesorabilmente in altrettante hobbesiane guerre di tutti contro tutti. Dando l’impressione di sfociare, ormai troppo sovente, in una sorta di cupio dissolvi della tv pubblica – proprio quando, al contrario, avrebbe bisogno di rilanciarsi e identificare con precisione una fisionomia correlata all’altezza della sua storia passata e un profilo competitivo tanto più necessario in un’età di sovrabbondanza dei media e di connessione permanente sul web, che incentiva ulteriormente nel pubblico la spinta (tra luci e ombre) a rivolgersi ai media digitali orizzontali.

E visto, quindi, che una delle principali poste in palio in questo contesto di ecosistema mediale ibrido e di lotta senza quartiere tra i mezzi di comunicazione è la concorrenza sul piano dell’economia dell’attenzione (con la prima parola da intendersi nell’accezione precipua anche del business, a partire da quello pubblicitario), chi meglio dello «showman integrale» per incrementare, ancora una volta, gli asset competitivi di quella che si chiamava nel passato la tv di Stato? E, invece, Fiorello, che avrebbe rappresentato un toccasana per una Rai 1 in crisi di ascolti, è stato sottoposto a un incomprensibile (e indecoroso) balletto di «tira e molla», prima di venire non troppo gentilmente forzato al trasloco coatto verso un’altra rete. Il secondo canale, e dunque, certo, sempre in casa di «Mamma Rai», ma sotterrando la spinta propulsiva che, in termini di share, avrebbe avuto il progetto originario di Viva Asiago 10!. E obbligando, altresì, l’amatissimo artista a uno slalom, degno di miglior causa, in mezzo a quelle che hanno tutta l’aria di essere sabbie mobili. O, se si preferisce, costringendolo a una via crucis che un fuoriclasse come lui non si meritava proprio.

Del resto, la Rai è lo specchio dell’Italia, luogo di convivenza senza soluzione di continuità di premodernità e postmoderno. Dove – accanto alle tante professionalità e ai talenti indiscutibili – coesistono logiche corporative intoccabili e inscalfibili, orti(celli) chiusi e «domini riservati» (come in un ordinamento di Antico regime) che fanno urlare «dalli all’invasore» al cospetto del programma di Fiorello. A metà tra neofeudalesimo, eterno e intoccabile Cencelli (come da storia della «tv di Stato») e sempiterna balcanizzazione per cui non arriverà mai neppure un simulacro di «accordo di Dayton». Col risultato finale del tutti sommersi e zero salvati. Il Tg1 «vince» la sua surreale prova di forza, nonostante le curve dell’audience mattutina si rivelino deludenti: e, pertanto, ecco infine respinta l’«incursione» fiorelliana al prezzo sconsiderato di rinunciare all’iniezione positiva di audience che ne sarebbe derivata, riscuotendo i fischi della disapprovazione generale. Ne esce male la Rai nel suo complesso, che cede alle immotivate rimostranze di una sua redazione e ai diktat del (massimalista) sindacalismo interno dei giornalisti. E Fiorello viene trasferito d’imperio su un canale che vive da tempo un’ulteriore crisi di share (e d’identità), finendo verosimilmente così per incassare introiti pubblicitari minori. E andando, peraltro, ad accentuare la concorrenza interna alla tv pubblica, a proposito della battaglia sull’economia dell’attenzione, anziché quella con i competitor privati.

Secondo John Reith, il fondatore della Bbc (e colui che coniò la formula di «servizio pubblico»), il triplice compito della tv era «informare, educare, intrattenere». Precisamente quanto, in maniera ironica e brillante, è in grado di fare Fiorello, uno dei pochi cui i il grande pubblico riconosce volentieri una (moderna e «non invasiva») funzione pedagogica. La missione della tv pubblica, per l’appunto, diventata però in epoca di disintermediazione una mission (quasi) impossible. Specialmente per una Rai che si fa troppo spesso volonterosa carnefice di sé stessa…

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