Se l’Unione europea fugge non c’è pace

Massimo Cacciari La Stampa 1 ottobre 2022
La Russia è già stata sconfitta, ma se l’Unione europea fugge non c’è pace
È il momento di discutere il ruolo dell’Ucraina in ambito Nato e occuparsi delle sue province russofone

 

Forse sarebbe ragionevole considerare se esistono ancora opportunità di cessate il fuoco (pace è una parola troppo grossa) prima che si giunga a una esplicita guerra, senza più populus interpositus, tra Nato (Stati Uniti) e Russia. Naturalmente, se volessimo cercare di spiegare le ragioni, o la mancanza di ragione, per cui si è giunti a questo limite estremo, il discorso sarebbe troppo lungo – e a chi interessa in questo clima insofferente di ogni “complessità”, tutto risolto nella “logica” amico-nemico, ragionare sulle cause di un fenomeno? Bastano e avanzano le immagini diffuse dalla propaganda degli uni e degli altri, non è vero? E allora accontentiamoci di restare a pochi, credo incontestabili fatti e di trarre da essi alcune conseguenze. I fatti sono che la Russia, anche prima di Putin, ha contestato la politica di allargamento della Nato, che avrebbe dovuto trionfalmente concludersi (e ormai si concluderà) con l’entrata nell’alleanza di Ucraina e Georgia.

Politica non certo entusiasticamente applaudita, nel suo corso tra anni Novanta e fine 2000, dalla stragrande maggioranza dei Paesi europei, ma la loro prudenza, soprattutto, appunto, verso Ucraina e Georgia, venne spazzata via già da Bush.

D’altra parte, la Russia avrebbe dovuto chiedersi: poteva andare diversamente dopo lo sfascio dell’URSS? Paesi usciti da quasi mezzo secolo di dominazione sovietica (dominazione che ha potentemente contribuito a prosciugare le casse del dominatore) era del tutto inevitabile che vedessero nella grande potenza dell’Occidente e nel suo sistema militare una garanzia di difesa della propria sovranità. Ogni tentativo di frenare o impedire questa fisiologica tendenza era destinato a moltiplicarne l’impeto, a renderlo sempre più russofobo. Cosa avrebbe dovuto pretendere una leadership russa dotata di vera Realpolitik, invece di illudersi di poter determinare la politica estera e le alleanze di Paesi sovrani, e quindi dimostrando di non avere metabolizzato il lutto per la sua sconfitta, netta e irreversibile nella terza Guerra Mondiale? Avrebbe dovuto pretendere autentici Trattati di pace, altro che gentlemen agreement, con Stati Uniti e Europa. Trattati che stabilissero solennemente il riconoscimento pieno, per forza incondizionato, della sovranità di tutti gli Stati “emersi” dalla catastrofe dell’URSS a fronte dell’impegno di non collocare dentro i loro confini sistemi d’arma che costituissero un’obiettiva minaccia per la Russia. È ovvio che in questi Trattati si sarebbe dovuto affrontare anche il problema riguardante quei territori in cui minoranze etniche si trovassero esposte a “dittature della maggioranza”. Una condizione di guerra civile è destinata infatti a imporre a entrambe le parti in lotta di richiedere l’aiuto, diretto o indiretto, di potenze amiche. La Russia non ha avanzato con forza la proposta di un Trattato che contribuisse a metter ordine nel mondo successivo alla caduta del Muro, non ha seriamente lavorato a un’intesa strategica con l’Unione europea, ha consolidato al suo interno un regime autoritario-oligarchico, condito di assassinii politici vari, ha condotto operazioni feroci di repressione di alcune minoranze etniche. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno continuato sulla propria road map, infischiandosene di paure russe e riserve europee. E l’Europa non ha saputo svolgere alcun ruolo di mediazione.

Medicina preventiva zero – vediamo ora se qualche medico può ancora intervenire o il malato, cioè la pace, è ormai in fase terminale. Il fallimento della spedizione lampo immaginata da Putin contro l’Ucraina è palese. Voleva porre un altolà all’espansione Nato, far riconoscere l’appartenenza alla Russia di Crimea e altre regioni che vennero assegnate all’Ucraina nelle forme più insensate e occasionali? Ha sortito l’effetto esattamente contrario, con un costo economico e di vite umane altissimo. Per carità di patria non ricordiamo (quanto è consolante la nostra capacità di dimenticare) come in passato si siano aggrediti Paesi regolarmente seduti all’ONU e con che sfoggio di bombardamenti sulla loro capitale. Non ricordiamo le lezioni sulla “guerra giusta” preventiva o per “ingerenza umanitaria”. Restiamo appunto ai fatti e rimandiamo a tempi più riflessivi la considerazione sulle nostre macroscopiche ipocrisie. La Russia non può non riconoscere che il suo attacco, in violazione a principi indiscussi (almeno in teoria) del diritto internazionale, è stato sconfitto. Ha i mezzi per proseguirlo ancora? Può darsi, ma non farebbe che rendere sempre più impossibili i risultati che si riprometteva – e più vicina la possibilità del Grande Caso, la Guerra. La Russia deve fermarsi, anche unilateralmente, e richiedere contestualmente che si apra un tavolo di trattativa con Stati Uniti ed Europa. Non mi illudo affatto che in una tale sede sia oggi possibile affrontare il complesso dei temi sui quali si sarebbe dovuta svolgere una vera Conferenza di Pace dopo il crollo dell’URSS – ma basterebbe che in essa si discutesse del ruolo dell’Ucraina nell’ambito Nato, e la sistemazione delle sue provincie russofone (nelle quali tutti sanno benissimo che qualsiasi referendum controllato al microscopio da qualsiasi organismo terzo darebbe una schiacciante maggioranza favorevole all’adesione alla Federazione russa). È oggi la Russia a doversi muovere in questo senso, perché è la Russia oggi a risultare sconfitta, politicamente ben prima che militarmente. Potrebbe continuare la guerra soltanto per trasformarla in un suo Vietnam. La Russia è in grado di compiere questo passo poiché la sua sconfitta non è ancora una resa. O vogliamo spingerla fino al bivio: o resa incondizionata o…? In un simile scenario, arresto delle operazioni russe e contestuale ripresa del negoziato sulla base degli accordi di Minsk mai attuati, il ruolo dell’Europa tornerebbe a essere decisivo. Ma l’Europa fugge, continua a fuggire, alle sue storiche responsabilità come fuggiva l’Italia allo sguardo dell’Enea virgiliano.

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