Toni Servillo: «Al cinema interpreto un Pirandello pop, ma il mio amore rimane il teatro»

Valerio Cappelli Corriere della Sera 21 ottobre 2022
Toni Servillo: «Al cinema interpreto un Pirandello pop, ma il mio amore rimane il teatro»
«La stranezza» di Roberto Andò immagina la nascita dei «Sei personaggi in cerca d’autore»

 

I personaggi irrompono in scena, vogliono essere ascoltati. Alla Festa del cinema è il giorno de «La stranezza», il film in cui Roberto Andò immagina che i «Sei personaggi in cerca d’autore» nascano da una suggestione bizzarra. Pirandello torna in Sicilia dopo molto tempo per gli 80 anni di Verga e per il funerale della sua amata balia, che lo aveva introdotto a canzoni popolari e litanìe. E assiste alla recita d’avanspettacolo di due becchini, Ficarra e Picone, che sono comici amatoriali, e vedendo lazzi e schiamazzi del pubblico, decide di scrivere un’opera teatrale «audace e rivoluzionaria», come dice Toni Servillo nei panni del drammaturgo. La stranezza è anche l’uscita di un film pop, che riunisce per la prima volta i due storici antagonisti, Rai Cinema e Medusa (in mezzo c’è Angelo Barbagallo). Esce il 27 in ben 460 copie; si andrà a caccia di proiezioni per gli studenti, è stato creato un sito apposta: scuole@Mediaset.it.

Toni Servillo, però Pirandello può mettere paura.
«Lo abbiamo sottratto ai cliché della concettosità e della pesantezza intellettualistica, l’essere e apparire, alla sua monumentalità. Nell’invenzione del retroscena da cui scaturì “Sei personaggi in cerca d’autore”, l’abbiamo reso un uomo fragile, geniale, con una simpatia verso il mondo popolare, raccontando in un azzardo creativo la nascita di un testo che al Teatro Valle, il 9 maggio 1921, fu accolto dalle grida di buffoni e manicomio. È un film in cui ci si può divertire pensando e si può pensare divertendosi, senza nulla togliere all’inquietudine per ciò che affolla nella testa dell’autore, alla sua vita privata, alla moglie ricoverata in un ospedale psichiatrico, a lui che esce da una crisi creativa».

La sua somiglianza fisica con Pirandello impressiona.
«Non ci avevo mai fatto caso ma è vero. La preparazione del trucco durava venti minuti, il pizzetto e via».

Al centro c’è un’indagine sull’atto della creazione, tra ragione e fantasia?
«Sì, è il farsi di un’opera, dove Pirandello riprende contatti con riti, volti, paesaggi siciliani, e in un funerale improvvisato incontra quei due becchini. C’è la vitalità del mistero creativo, irrorata dall’ossessione su persone e personaggi, potremmo congedarci dal film senza sapere se i due becchini siano esistiti».

Ficarra e Picone, una piacevolissima sorpresa?
«Il meccanismo che mi ha affascinato è proprio che ci fossero due attori come loro. C’era un’antica promessa di lavorare con loro da parte di Andò, che è partito dal rapporto confuso tra realtà e finzione. Si fanno cadere steccati sulla separazione tra attori comici e drammatici, è qualcosa che ricorda “Kaos” di Vittorio e Paolo Taviani: in quel film, non immaginai altro che Franchi e Ingrassia».

Pirandello inventa il teatro nella vita?
«Nessun artista che si ritenga tale può essere separato dalla vita, nel caso di Pirandello è un’ossessione, le persone rincorrono i personaggi e viceversa, ha la necessità che per vivere abbiamo la necessità di crearci un’altra identità. Ed è nel carattere dei siciliani e dei napoletani (a cui appartengo), che lo declinano più sul versante della commedia. Pirandello ne fa argomento delle sue riflessioni».

Le comparse in questa storia sono importanti?
«È la reazione del pubblico. Qui ha un ruolo, sia nel teatro amatoriale dove interveniva e gridava, sia alla prima al Teatro Valle: una borghesia arrogante e ignorante si scagliò contro l’autore, come a Parigi con Stravinsky e la sua “Sagra”. È un pubblico in cerca d’autore, come la pièce».
Il Valle è chiuso dal 2011, storia di abusi, ipocrisie, impotenza della politica…
«Non l’abbiamo trovato in ottime condizioni. È il teatro dove ho recitato quasi tutti i miei spettacoli, dove ho visto Brook e Vassiliev. Ma anche l’Argentina, che è commissariato, non se la passa bene».

E nemmeno il cinema.
«Il cinema è un modo per conoscere il mondo, ho potuto coltivare la curiosità per la diversità, la prima cosa che chiedo in un progetto all’estero è, come fate voi le cose, per misurare la differenza con noi. Oggi è omologato su standard figurativi e tematici, c’è il rischio che possiamo consumarlo per intero solo digitalmente».

Qui riunisce i suoi due amori, teatro e cinema.
«Scherzando sogno quest’epitaffio sulla mia tomba: qui giace Toni Servillo, attore. Toni a teatro e Servillo al cinema. Non faccio graduatorie ma vengo dal palco, è il mondo in cui in modo intimo e quotidiano rifletto sul senso del mio mestiere».

 

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