Il sovranismo della Meloni non fa paura all’establishment e a Folli. Farà come Draghi (!?)

Stefano Folli La Repubblica 22 ottobre 2022
Sovranista sì, ma non troppo
Nella formazione del governo di destra colpisce la rapidità, l’obiettivo di Meloni è la durata. Accontentata la Lega, Forza Italia e i centristi sono partner minori

 

La prima impressione è la rapidità con cui si è chiuso il cerchio. Le crepe nella maggioranza potevano riaprirsi da un momento all’altro e occorreva essere veloci. Soddisfatta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che da ieri sera si è ricavata uno spazio nei futuri libri di storia. E molto contento è apparso anche il presidente della Repubblica, Mattarella. Si è capito che le urgenze economiche e le incognite imposte dalla guerra hanno creato una sorta di sintonia, forse persino di simpatia personale, tra il capo dello Stato e la prima donna premier. C’è da augurarsi che tale stato d’animo prosegua e si consolidi: il governo di centrodestra (o, come dicono molti, di destra-centro, in quanto spostato verso posizioni abbastanza radicali) ha bisogno dei consigli di Mattarella. Soprattutto ha bisogno di aiuto nel farsi accettare dalla rete del potere reale: l’amministrazione centrale e periferica, l’alta burocrazia, in una parola l’establishment.

A sua volta, il Quirinale desidera la stabilità, ben consapevole che i prossimi mesi saranno drammatici. Non è tempo di giochi tattici: questo esecutivo sulla carta è fatto per durare, soprattutto perché non sembrano esistere margini per cambi di maggioranza o improvvisi colpi di testa destinati a trasformare l’assetto politico. I giornali, s’intende, si aspettano qualche fuoco d’artificio da un Berlusconi che morde il freno, ma dopo l’infelice esibizione dei giorni scorsi anche lui dovrà misurare le energie.

Sul piano della qualità, il primo dato che colpisce è la tempra e la determinazione della premier. Ha realizzato una specie di veni, vidi, vici in chiave moderna, possibile grazie al patto di convenienza stipulato con Salvini. Accontentata la Lega, i Fratelli d’Italia si sono serviti una larga fetta del piatto ministeriale, come è legittimo per un partito che ha raccolto il 26 % meno di un mese fa. Ridotti a partner minori, Forza Italia e i centristi fanno buon viso a cattivo gioco, anzi devono quasi ringraziare per la Farnesina che è rimasta a Tajani, insieme alla vicepresidenza onorifica del Consiglio (in coabitazione con Salvini). Si tratta ovviamente di un governo di destra, per cui ha poco senso che da sinistra si critichi la tale o talaltra scelta perché non corrisponde all’idea di società che questa parte politica coltiva.

È il caso della cattolica Eugenia Roccella al dicastero della Famiglia e della Natalità. Si potrebbe sostenere, anzi, che Giorgia Meloni ha scelto questo e altri terreni per definire un’immagine del suo governo in alternativa al pensiero corrente, ben sapendo che in altri campi, ad esempio i rapporti con l’Europa e il futuro del “sovranismo”, non avrà spazi di manovra. O meglio, dovrà trovare al più presto una modalità di convivenza con l’Unione: e non potrà allontanarsi troppo dalla linea dell’ultimo Draghi, l’altra figura di rilievo a cui l’esecutivo Meloni non può fare a meno di ispirarsi per quanto riguarda le relazioni internazionali e le politiche energetiche. Lo vedremo già nelle prossime ore con l’arrivo del francese Macron a Roma: una visita privata che sarà logicamente occasione per un primo incontro.

Allo stesso modo, colpiscono i cambi di nome di alcuni ministeri: ad esempio quello del “made in Italy” o della “sovranità alimentare”. Piccoli accorgimenti lessicali per suggerire l’intenzione di tutelare gli interessi nazionali. Del resto, la premier si è rivolta fin dalle prime battute alla “nazione” e non al “Paese”. Insomma, una versione minimale del “sovranismo”, fatto di minuscoli segni che nascondono la difficoltà di fare molto d’altro. Per il resto, un ministero affidato a persone competenti nel loro ambito, chiamate a segnare un cambio di passo. Ossia un compito quasi proibitivo in questi anni inquietanti. Avendo vinto le elezioni, hanno diritto di provarci.

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