Nella Commedia Umana dell’assalto al cielo, pure i fascisti invecchiano

Francesco Merlo La Repubblica 23 ottobre 2022
Tra gli arazzi del Quirinale i post-fascisti invecchiano
Nell’impaccio della sobrietà, nei rigidi vestiti da nomenclatura, nella soggezione indotta dal Quirinale, la squadra di governo si normalizza. Cronaca psicologica di una mutazione inconsapevole

 

“I fascisti invecchiano” tra le tende rosse e nel luccichio dei grandi lampadari. E diciamo “fascisti” per comodità e perché, adesso che hanno espugnato il Salone delle Feste, antico e austero, dove il capo dello Stato ieri mattina pareva ringiovanito, adesso, dico, c’è nel nostro linguaggio lo stesso stordimento, lo stesso stupore che c’è nei loro occhi di lupi vincitori.

È infatti oggi che hanno vinto, non il 25 settembre, ma oggi, in questa sala dei tre lampadari che il grande specchio dorato moltiplica in una fuga senza fine, con la Meloni goffamente compiaciuta per la liturgia del Quirinale, mentre giù, la piazza dell’indolenza romana è presidiata dalla polizia, e non gli sbirri della vita che fu, ma la polizia che li tratta tutti come si trattano le istituzioni, come si tratta il potere. E Sergio Mattarella la guarda come fosse l’angelo della storia mentre “complimenti” mormora a Guido Crosetto che anche lui, come tutti in questi casi, non sa dove mettere le mani, solo che le sue sono grandi come due bistecche crude.

“Grazie presidente” dice l’onorevole cognato e anche la formalità impeccabile rivela che i fascisti invecchiano nel luogo comune dell’abito scuro di Nello Musumeci e di Matteo Salvini, il ministro del mare e il ministro dei porti, nemici che si fiutano perché a destra le politiche non si giudicano, ma appunto si fiutano, e il pensiero è aristotelico: “Nihil in intellectu quod prius non fuit in sensu”.

I fascisti invecchiano nell’impaccio della sobrietà di Giorgia Meloni che si impappina sulla parola Repubblica, nel tacco da cerimonia della compagna di Salvini con la bimba in braccio, invecchiano nel “ciao mamma” di Giorgia e in tutti quei parenti ai quali il cerimoniale ha vietato l’applauso dei battesimi e dei funerali, ma il tono rimane quello della seduta di laurea, anche se trattenuta, al punto che persino la signora Santanché non somiglia alla Santadeché di Dagospia, si alza e, tra il pubblico dei parenti, non si perde una sola testa di bambino: carezze qui, carezze là. I fascisti invecchiano nella dolcezza, nelle dichiarazioni smisurate per troppa misura. Crosetto, per esempio, sembra la parodia di Isaiah Berlin: “Rappresenteremo tutti i 60 milioni di italiani, non siamo di parte, la nostra parola è re-spon-sa-bi-li-tà”.

E Gennaro Sangiuliano si ubriaca di Rinascimento, Dante e Machiavelli, Leonardo e la Grecia antica: “Siamo la culla della democrazia”, “cultura è la parola più bella della lingua italiana”. I fascisti invecchiano nel ruolo di spaventapasseri assegnato all’ex radicale Eugenia Roccella che recita la formula del giuramento con la forza di un’attrice drammatica: “e però la sua ombra, signora, non porta il crocefisso” si correggerebbe oggi l’autore di I fascisti invecchiano, titolo imposto a Vitaliano Brancati da Leo Longanesi nel 1946. Ed erano i fascisti che diventavano antifascisti perché avevano perduto, mentre questi lo diventano perché vincono.

E quando poi è arrivato il momento della foto di gruppo, che è la memoria di ogni festa, Mattarella ha occupato il centro geometrico e tutti si sono messi in posa da terza B. I posti erano assegnati dal cerimoniale. Ma si vede che sono a disagio vestiti da nomenclatura, che non sono ancora disinvolti nel ruolo del sedare e del calmare, loro che non sono nati per spegnere ma per incendiare l’Italia. Per troppo tempo sono stati un mondo laterale, un mondo di sconfitti e chissà che non si siano accorti, anche loro, smarrendosi nel barocco del Quirinale, di avere comunque perso fascino con tutti questi elogi dell’altro da sé, con tutta questa vergogna di sé.

In primo piano nella foto di gruppo c’è il volto paffutello di Tajani, il ministro degli Esteri, che da anni propone a destra l’inarrivabile modello che Gentiloni impose a sinistra. Sempre affidabile e rassicurante, esibendo frasi di buon senso e di prudenza, ha resistito al fuoco lento con la pazienza dell’arrostito e in questo governo è il miracolato che si metterà a fare miracoli, anche quello di rendere inoffensivo il putinismo senile e spinto di Berlusconi.

Tajani e Gentiloni furono compagni di scuola al Tasso. “C’erano pure Maurizio Gasparri, Nanni Moretti, Walter Veltroni, Alvaro Loiacono che finì nelle Brigate Rosse… Ma non bisogna pensare che fossimo tutti amici, che ci frequentassimo come nel club dei “saranno famosi””.

Anche il ministro Carlo Nordio si è messo a elogiare Vassalli, medaglia della Resistenza, e ha ribadito che bisogna riformare il codice firmato da Rocco, “un fascista”. Nordio nella foto di gruppo ha pericolosamente l’aria dell’Homo Sapiens che pensa di saperla più lunga di tutti. È probabile che prima o poi se la vedrà con Mattarella che ha la mite intransigenza dell’Homo Erectus.

Nella Commedia Umana dell’assalto al cielo, invecchiano dunque quelli che sono stati una masnada, e qualcuno era anche capobanda. Ed è sicuro che la masnada farà presto marameo da qualche parte. Mai però c’era stato un giuramento, che nell’italiano di Dante è “l’affermar che fa credere altrui”, così controllato, così represso, cosi spaventato di sé, anche nei suoi aspetti di frivolezza mondana. Ieri nessun ministro ha alzato la mano per salutare mogli e sorelle, non ci sono state mamme in lacrime come ai tempi di Patuanelli e neppure papà che ridevano come rideva il papà di Bonafede.
Non mi stupirei di sapere però che nello zainetto di Andrea Giambruno c’erano le “pastarelle” della festa, da mangiare tutti insieme, con Giorgia, con la figlia, con la suocera e lo spumante Riccadonna

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