La debolezza Meloni, nella fragilità di Usa, Francia e Gran Bretagna

Lucia Annunziata La Stampa 23 ottobre 2022
Perché l’Unione debole non sarà un ostacolo
Quanto dura il governo appena varato? L’esecutivo è soggetto in queste ore a intenso scrutinio di quella che si può considerare la più grande azienda di Risk Assessment italiana, il Parlamento di Roma. Dove circola una girandola di analisi sulla durata del governo appena nato.

 

La conclusione, in generale pende a favore del fatto che “non durerà molto”. Ma una analisi più circostanziata delle condizioni generali in cui si muove il governo, suggerisce condizioni molto più favorevoli alla coalizione di centrodestra. In particolare nel rapporto con l’Europa, indicato invece da uno stuolo di osservatori politici come il vero tallone d’Achille del governo. È forse utile dividere la questione in due parti: il programma nazionale e la collocazione internazionale. In entrambi i casi, la coalizione di Giorgia Meloni è attraversata da grandi fratture. Ma con diversa valenza politica, e gestibilità.

La composizione del Consiglio dei ministri è un’utile guida per rintracciare queste fratture. Vi si possono leggere, attraverso i nomi, tutti i potenziali conflitti.

1) Su Nord/Sud: la delega spacchettata sui porti; 2) sui Valori: il ruolo della famiglia in un esecutivo che ha famiglie non tradizionali, quella senza matrimonio della presidente del Consiglio, e quella allargata di Matteo Salvini – esperienze felici come ci hanno raccontato ieri le immagini di queste famiglie colte durante il giuramento – è difficilmente ingabbiabile dentro il rigido approccio del presidente della Camera Fontana; 3) il ruolo dello Stato nella spesa pubblica: Giorgetti l’ultimo dei draghiani pragmatici all’Economia si troverà davanti a una vigorosa spinta allo scostamento di bilancio. Ci sono poi i segni di un ritorno ai conflitti di interesse veri e propri.
1) Alla Giustizia, il ministro Nordio, con una scelta non del tutto ortodossa, si è recato a far visita a Silvio Berlusconi prima che fosse varata la lista dei ministri; 2) il settore Turismo sarà diretto da Daniela Santanchè che è proprietaria di un grande stabilimento balneare,il Twiga di Forte dei Marmi, parte di un settore che, come è noto, ha costituito la punta dell’attacco ai provvedimenti Draghi sul rinnovo delle concessioni; 3) alla Difesa arriva il ministro Crosetto, un uomo molto intelligente, che ha già dichiarato che abbandonerà i suoi “affari”, ma la distanza tra la sua funzione pubblica e il suo sia pure ex mondo del lavoro rimane esile.

Sono tante fratture, certo. Ma forse tutte sanabili con una gestione attenta e trasparente. Vedremo il corso che il governo prenderà. L’unico vero punto debole, il luogo dove esiste fra le varie formazioni del centrodestra un baratro, è invece senza dubbio la sua collocazione europea, e internazionale. Distanze evidenti, trasformatesi in aperti scontri nel periodo delle consultazioni. Le cito velocemente perché tanto le si conoscono bene: i vari audio di Silvio Berlusconi su Putin, le critiche all’Europa che i social fanno riemergere, e torniamo qui alle foto con magliette contro le sanzioni alla Russia di Salvini e Fontana; ma anche le posizioni sull’Europa di una giovane militante di nome Giorgia Meloni non ancora sulla strada di Palazzo Chigi, e la passione per le piazze spagnole, recentissima e vibrante, di una Giorgia Meloni già avviata sulla strada di Chigi. E se sull’Atlantismo la coalizione si divide ancora fra putiniani (Silvio e Salvini) e non (Giorgia), sulle armi, dove ci sarà il ministro Crosetto di cui parlavamo prima, le complicazioni si moltiplicano di nuovo – a proposito la decisione sul prossimo invio di armi da parte dell’Italia all’Ucraina, è fra i primi provvedimenti che saranno presi dall’esecutivo.

Un quadro complicato di fronte a cui è facile dire che sotto lo stress della “guardia” europea, il governo non può che rompersi. Del resto per tutti gli altri esecutivi del passato decennio questa “guardia” ha funzionato: in maniera positiva o negativa, che si voglia valutare, il peso europeo ha avuto un grande ruolo nel sostenere governi tecnici (Monti e Draghi) ma anche politici, Letta, Gentiloni, un po’ meno Renzi. Altrettanto sicuramente l’Europa ha saputo farsi valere su governi che non amavano l’Europa politica. Ricordo qui il caso più clamoroso, cioè come il governo Conte1 dovette modificare la sua prima finanziaria, presentata come “manovra del cambiamento” dagli allora due vicempremier Salvini e Di Maio, scritta con la previsione di uno sfondamento del 2,4, contro il limite europeo dell’1,6. Finita poi, con un giro di valzer a 2.04. Un vecchio episodio ma sempre gustoso per capire i rapporti di forza fra Italia ed Ue. Ricordo qui, ancora, che Salvini perse quel governo per essersi rifiutato di presentarsi in Parlamento a spiegare le sue relazioni con la Russia, dopo la vicenda Metropol.

Tutto questo, sulla carta, sembrerebbe dare ragione a chi pensa che il nuovo governo inevitabilmente va verso un percorso molto accidentato e con esito non sicuro. E tuttavia, la lettura che si fa oggi delle relazioni europee e internazionali, non prende in considerazione un altro grande cambiamento. La crisi del Covid prima e della guerra poi hanno portato a galla divisioni che in tempi più sereni parevano ed erano controllabili: l’Europa oggi è in una fase delicatissima, molto meno forte del 2019, e non ha la forza e nemmeno la voglia, probabilmente, di esercitare un ruolo di guardiano dell’ortodossia.

Non c’è nemmeno bisogno di togliersi i paraocchi. I segnali delle difficoltà sono chiari. Il più grave è una spaccatura netta nell’asse Francia-Germania, in cui l’Italia spesso svolge il ruolo di stabilizzatore di supporto. La Germania sembra regredita nel bozzolo dei suoi interessi, quelli dell’energia, e quelli militari. Il presidente francese Macron – il cui caso val la pena di esser fatto dal momento che domani sarà in visita in Italia, e sarà il protagonista del primo incontro istituzionale di alto livello della nuova presidente del Consiglio – è impegnato in un paio di sfide. In Parlamento, è scontro con le opposizioni sulla legge di bilancio, mentre i movimenti sociali, come quelli contro il caro vita, allargano lo spazio di Mélenchon. Né la Francia né la Germania sono a serio rischio, ma la reciproca sensibilità sembra essersi assottigliata. La decisione di Berlino di investire 100 miliardi di euro sulla difesa, in progetti con gli Usa, brucia uno dei capisaldi dell’accordo fra le due nazioni, che hanno sempre collaborato sulla produzione delle armi. Sull’Energia, anche la risposta è stata diversa fra le due capitali.

La visita di Macron in questo fine settimana è vista dagli esperti come una “verifica” del tipo di rapporto che offre l’Italia, dopo quello molto intenso con Draghi. Ed è vero che nel passato Meloni ha molto criticato il neocolonialismo francese, ma il presidente francese non sembra esattamente nella situazione mentale, visti i problemi europei, di soffermarsi su cose passate. Le divisioni interne del nostro continente sono state ben illustrate anche dal percorso difficile fatto dalla proposta del tetto al prezzo dell’energia, su cui si è molto battuta l’Italia contro molti paesi europei. È finita, è vero, con una sorta di accordo, ma più come warning ai mercati che come soluzione. Anche la crisi dell’Inghilterra, ormai fuori dall’Europa, può essere vista come una vicenda che pesa indirettamente sull’Italia. Le dimissioni della premier Truss sono state provocate dal “Mini-Budget” approvato dalla Truss – 45 miliardi di sterline di riduzione delle tasse, soprattutto per i più ricchi, con l’abbassamento dell’aliquota marginale dal 45 al 40% – caduto sotto i colpi dalla risposta negativa dei mercati non tanto per la riduzione delle tasse ai ricchi quanto per il fatto che fosse del tutto privo di coperture. Per un governo italiano che inizia oggi il suo lavoro e già discute di debito e coperture, è un vero e proprio avvertimento.

Infine, ci sono gli Usa, alla vigilia di un nuovo voto, quello di Midterm che quasi sicuramente cambierà gli equilibri del Congresso. Che impatto avrà questo cambiamento sulle già notevoli distanze fra Europa e Washington è tutto da ridefinire. Non è un quadro allarmista. L’Europa non è certo sull’orlo di una crisi generale, ma sicuramente è un intreccio di instabilità, di questione nuove entrate nel vecchio quadro strategico. Una situazione in cui l’ultima cosa che l’Ue vuole avere sono crisi di governo in paesi centrali per il suo equilibrio. Nessuno in questo momento in Ue potrebbe del resto intervenire in una crisi di un paese fondatore. L’esecutivo Meloni, se agisce con accortezza, può mettere le vele al vento di queste debolezze.

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