Una ­poco allegra brigata che cammina su un campo minato

Michele Prospero il Riformista 22 ottobre 2022
Una ­poco‑ allegra brigata che cammina su un campo minato
Sulle relazioni internazionali i tre alleati si muovono in ordine sparso dietro la maschera dell’atlantismo.  Su tasse ed economia, benché uniti, non possono muovere un dito . Il mandato ricevuto dal favore del voto popolare è ormai inservibile. Politica e stabilità, solo un miraggio

 

Altro che gran ritorno della politica,  con una leadership giovane e forte  che si insedia a Palazzo Chigi grazie  a un mandato popolare esplicito e  una coalizione alle spalle che ha i numeri per  far dimenticare i tempi grigi della sospensione  tecnocratica del parlamentarismo

C’è un  grande gioco di fi nzione nella recita di Giorgia  Meloni che riceve l’incarico al Colle ripassando  la parte della voce solista accompagnata  dal coro di una destra disciplinata sulle dolci  note dell’atlantismo

Che il governo della destra radicale nasca con  il compito principale di garantire i vincoli e le  appartenenze internazionali in tempo di confl  itto bellico contraddice il senso di una anomala  campagna elettorale nella quale proprio  il tema della guerra apparteneva al campo della  grande rimozione

La questione del sostegno  all’Ucraina, il tema dell’invio delle armi, le  conseguenze delle sanzioni sono stati semplicemente  accantonati

Nessuno ha prospettato  agli elettori la disponibilità ad accollarsi gli  oneri di un’economia di guerra per difendere  a qualsiasi costo il principio della lotta infi nita  accanto a Kiev in nome dei valori della libertà

E’ paradossale che, dopo il gioco del silenzio,  adesso Meloni assuma come missione principale  dell’esecutivo proprio l’imperativo della  assoluta fedeltà nel fronte bellico accanto alla  squadra euroatlantica

Pare evidente che, se  quello che nasce è un governo di guerra, esso  non ha la maggioranza politica omogenea necessaria  per svolgere con coerenza il suo mandato

La fresca conversione atlantica di una  Meloni prima profondamente innamorata dei  valori morali-religiosi-nazionali del putinismo  non cancella le posizioni dissonanti di Berlusconi,  le cui denunce della debolezza delle leadership  europee e americana raccontavano  un puro dato di fatto e non erano voci dal sen  fuggite

E soprattutto non smorza gli smarcamenti  della Lega, che con il nuovo presidente  di Montecitorio denuncia “l’effetto boomerang”  delle sanzioni contro Mosca

In ordine sparso sulle relazioni internazionali  (con Berlusconi e Salvini più sensibili al  richiamo delle ragioni russe, e con Meloni  molto vicina all’estremismo bellico polacco e  inglese, con una fuga verso Washington e una  lontananza spiccata dagli “usurai di Bruxelles”),  le destre hanno vinto alla grande la contesa  elettorale perché i tre tenori intonavano la  stessa canzone sul fi sco

Il guaio è che, mentre  gli elettori aspettavano che Roma cominciasse  le felici pratiche di una fl at tax che la  destra tutta, con sfumature e varianti solo tecniche,  ha loro promesso, a Londra durava poche  settimane l’esperienza di un governo che  prometteva anch’esso la detassazione dei ricchi  per determinare il formidabile rilancio dei  consumi

Se a Roma qualcuno degli accasati nei nuovi  dicasteri si azzardasse davvero a implementare  le politiche della tassazione piatta, la  risposta dei mercati sarebbe ancora più catastrofi  ca di quanto accaduto alla sprovveduta  premier Truss, costretta alla precipitosa fuga  dinanzi allo spettacolo  poco edificante di  un’economia di sua  maestà britannica  messa brutalmente  in ginocchio

Dove  la destra italiana  è storicamente monolitica,  ossia in economia  e sul fi sco, con  le promesse di abbattimento della tassazione,  non può muovere un dito, dato che la sorveglianza  spietata dei mercati e degli investitori  la ricondurrebbe ben presto agli ordini

Dove  invece la poco allegra brigata è attraversata  da abissali differenze, e cioè in politica  internazionale, con la guerra, le sanzioni e la  diplomazia, gli eventi la costringono a ripiegare  esibendo la frettolosa maschera  di un atlantismo di  maniera, con il rischio concreto  di uno sbandamento  spettacolare alla prima occasione  critica

Tutto questo,  però, tramuta la coalizione  in qualcosa che non è e non  può essere: un insolito esecutivo  di guerra, cioè una  variante di un governo non  politico, ma tecnico

L’ipotesi di un collante  inedito costituito  da un  eterogeneo  “arco atlantico”,  che  tanto piace  alla grande  stampa,  è del tutto  irrealistica

Conte per un  verso guarda ai palazzi, e  aderisce alle prove generali  di atlantismo censurando  Tajani e chiedendone  l’inidoneità per il ruolo alla  Farnesina, per un altro  guarda alla piazza, e incita alla rivolta contro  l’invio delle armi in Ucraina

Il centro potrebbe  surrogare una parte di Forza Italia di stretta  fedeltà berlusconiana, ma la Lega farebbe  saltare tutti gli equilibrismi

Neanche il Pd potrebbe  mettersi l’elmetto a fi anco della patriota,  e non perché manchi da quelle parti chi lo  farebbe volentieri

Nasce perciò un governo  senza un mandato politico,  quello che ha ricevuto il  favore dal voto popolare è  inservibile e per questo Meloni  deve navigare a vista  tra le incertezze della guerra

Alla fi ne le urla di Giorgia,  le pose gladiatorie dei suoi  quadri nostalgici e le crociate  dei leghisti con il rosario  decideranno che è più  semplice spezzare le reni alle  donne, alle famiglie di fatto,  ai migranti

Graffi eranno  qualche dolce simbolo della  Repubblica, esibiranno  qualche busto del ventennio,  inaugureranno qualche  cimitero dei feti e poco altro

La politica può attendere

E  anche la stabilità appare un  lontano miraggio

Se per Meloni, che riceve l’incarico, il voto di  settembre è stato un evento storico accarezzato  da una profonda vena di nostalgia, per  Berlusconi e la Lega si è trattato di una maledetta  vittoria mutilata

Il cammino del governo  è per questo destinato alle imprevedibilità  dell’attraversamento di un campo minato

La  volontà di rivalsa di Salvini nessuno la può  spegnere, e non basta la poltrona di Fontana  per placare le ire del nord per la perdita di  ruolo e rappresentatività

Ma è soprattutto dal  sentimento di umiliazione che pervade il Cavaliere  che verranno le insidie

Berlusconi ha portato al governo “i fascisti”,  come lui li chiama, ma quelli all’epoca erano  appunto suoi strumenti

Dal predellino poi  ordinò il partito unitario

E nel congresso fondativo  una orchestrina mandava ogni cinque  minuti la musichetta di “meno male che Silvio  c’è”

Ora che gli tocca invece stare sull’attenti  dinanzi alla patriota con gli anfi bi, che  non intende neppure negoziare sui nomi dei  ministeri, a Berlusconi (sempre decisivo nel  successo di una irriconoscente destra grazie  all’apporto delle trasmissioni militanti di Del  Debbio e Giordano) il tutto suona come un  affronto inaudito

Non mancheranno le occasioni,  una volta assorbiti i colpi della registrazione  carpita dalle agenzie, per mostrare  al parlamento che di nuovo Silvio c’è

Le élites  euroatlantiche e i grandi giornali possono  pure lanciare le lodi sperticate per il “decisionismo”  ritrovato della donna-soldato premier  che ha la lista dei ministri già pronta, ma le  sorti dei governi le decidono sempre i giochi  della politica, fortunatamente imprevedibili e  sempre pronti a presentarsi con un tocco di  creatività

 

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