Calenda mette i voti a tutti, l’opposizione è lui. Renzi? Si ma dice cose diverse

Federico Capurso La Stampa 28 ottobre 2022
Carlo Calenda: “Renzi guarda a destra? No, ma avrei detto altre cose”
Il segretario di Azione: «Meloni noiosa, ma siamo aperti al dialogo. Non entreremo mai in questa maggioranza, voteremo di volta in volta»

 

Non rinuncerebbe mai a due cose, Carlo Calenda: ai giudizi corrosivi e alla romanità. Così, il discorso programmatico di Giorgia Meloni viene descritto dal leader di Azione come «vuoto, lacunoso, di una noia mortale. Enrico Letta avrebbe potuto dire le stesse cose». Anche se, riconosce, «ha chiuso il dibattito su fascismo, diritti e autocrazie. Ora mi aspetto che tagli tutti i legami con l’ultradestra europea». E l’intervento in Aula del suo alleato, Matteo Renzi? «Il mio sarebbe stato diverso, ma la linea di fondo sarebbe stata la stessa: la nostra opposizione non sarà pregiudiziale». Ma guai a dire a Calenda che con un discorso come quello di Renzi si gettano le basi per un ingresso nel governo: «Ma governo de che!».

Però sarebbe intervenuto in modo diverso. In che modo? Non le è piaciuto?
«Al contrario, l’ho apprezzato. Ha spiegato in modo molto chiaro il tipo di atteggiamento che avremo. Io, come ho fatto il giorno prima, avrei insistito di più sui singoli argomenti di merito, ma con Renzi ci siamo divisi i compiti. Va bene così».

A molti è sembrato il discorso di un leader di maggioranza. O aspirante tale.
«Ma perché ogni volta che qualcuno dice di voler fare opposizione sul merito e sui temi, allora si grida all’inciucio? Non voteremo mai la fiducia a questo governo. Voteremo sempre no. Nessuno vuole entrare in maggioranza».

Dal Pd guardano meno lontano e vi accusano di cercare un accordo con Meloni per ottenere la presidenza di una commissione di garanzia. Magari la Vigilanza Rai.

«Dopo l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato ci hanno accusato di esserci messi d’accordo con la maggioranza: i nostri voti per avere un vicepresidente. Invece tutti i vicepresidenti sono andati a Pd e M5S. È la solita storia: noi stiamo sui temi e dall’altra parte ci accusano di cercare accordi sottobanco. Poi però gli accordi li fanno loro».

Sui singoli provvedimenti e sulle riforme costituzionali, invece, c’è un’apertura?

«Vedremo di volta in volta. Finora le uniche proposte concrete della maggioranza prevedono un condono, l’innalzamento della soglia di contanti e la flat tax per le partite Iva: è l’agenda pro-evasione di Matteo Salvini. Ma non faremo il tipo di opposizione che ha in mente Letta, questo è sicuro».

Che intende?

«Per il Pd, siccome ci sono i fascisti, ci vuole l’unità dell’opposizione. E questo ragionamento lo fa perché ha il terrore di scegliere una linea politica. Noi non siamo questo».

Anche lei attacca il Pd.

«Ma erano idiozie quelle messe sul tavolo da una parte del Pd e dai Cinque stelle. L’intervento del senatore M5S Roberto Scarpinato era quello di una persona delirante: pensare di trovare una continuità tra il periodo stragista e il governo Meloni è un argomento da neuro. Ed è ridicola, dal Pd, Debora Serracchiani, che attacca Meloni sulle donne. Su quel tema, nel Pd, non possono proprio parlare».

Nessuno spazio per un coordinamento dell’opposizione?

«Invece le dico che ogni iniziativa la rivolgo sempre prima a Letta. Vorremmo introdurre un tetto alle bollette e una revisione del reddito di cittadinanza, ad esempio. L’ho proposto a Letta, ma non ha mai risposto. Ci riproverò».

Quando?

«Il 5 novembre a Milano faremo una manifestazione di sostegno al popolo ucraino. Parleranno tanti esponenti dem, da Cottarelli ad Alfieri, da Maran a Gori. Ho chiesto a Letta di avere il coraggio di essere con noi in piazza. Nello stesso giorno i Cinque stelle saranno a Roma a un’altra manifestazione, voluta per chiedere la resa degli ucraini, perché a questo porta la loro richiesta di non sostenere più militarmente Kiev».

Lei bussa al Pd e intanto Renzi spende parole al miele per Meloni.

«Ma dove? Quali?».

L’ha difesa sulla questione del merito nella scuola, ad esempio.

«Dibattito demenziale, da una parte e dall’altra. Meloni non ha spiegato che intende per “merito”. Per me non è il premiare i risultati migliori, ma chi fa lo sforzo maggiore da una posizione svantaggiata. Discutiamo di una scuola fondata sull’impegno, perché favorisca l’eguaglianza. Poi, che Landini consideri il merito una cosa classista, è qualcosa che non sentivo dai tempi dell’Urss: delirante».

Quindi non trova sia stato troppo morbido?

«Affatto. Sulle trivelle e sull’europeismo le ha ricordato le sue contraddizioni. E poi ero intervenuto già io, con un intervenuto già durissimo sui singoli temi. Non scherziamo».

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