Le misure annunciate dal governo, attivo sostegno a evasione e confusione fiscale

Tito Boeri e Roberto Perotti La Repubblica 28 ottobre 2022
I fiancheggiatori dell’evasione

 

Le misure programmatiche annunciate dal governo non fanno ben sperare

 

Attivo sostegno a evasione e confusione fiscale. Questo, in sintesi, il tratto comune dei numerosi impegni presi sul fisco da Giorgia Meloni nei confronti dei parlamentari che le hanno accordato la fiducia.

Il primo impegno è nel suo “confermo che metteremo mano al tetto del contante”. Secondo Giorgia Meloni, “non c’è correlazione tra intensità del limite del contante e diffusione dell’economia sommersa”. Non sappiamo da cosa abbia tratto questa ferrea convinzione. Un recente studio del Servizio Studio di Banca d’Italia (Michele Giammatteo, Stefano Iezzi e Roberto Zizza, Questioni di Economia e Finanza, n. 649) documenta in modo rigoroso come la decisione di portare l limite all’utilizzo del contante da 1000 a 3000 euro nel 2016 abbia fatto aumentare in modo significativo la quota di valore aggiunto sottratta al fisco.

L’unica giustificazione offerta alla scelta di aumentare il tetto all’utilizzo del contante fornito dalla neo Presidente del Consiglio è che questo penalizzerebbe soprattutto i più poveri che non avrebbero accesso a metodi di pagamento elettronici. Ma i poveri non procedono certo ad acquisti superiori ai 2000 euro (l’attuale limite all’utilizzo del contante) dato che i loro redditi totali sono inferiori a 800 euro al mese. Non sappiamo a quale livello si intenda innalzare il tetto. Sappiamo solo che il disegno di legge presentato dalla Lega propone di portare il tetto a 10.000 euro, il livello di reddito mensile dell’un per cento più ricco della popolazione italiana.

Il secondo impegno è sulla “tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese, in particolare Pmi, in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco”. Si può discutere dell’opportunità di abbattere il debito di persone e imprese che hanno dimostrato, accumulando ingenti sanzioni amministrative, di non essere in condizioni di pagare. Sono crediti che appaiono in gran parte inesigibili e il cui abbattimento quindi non sottrae risorse al fisco. Ma il problema è che misure di questo tipo dovrebbero essere accompagnate ad una intensificazione delle attività di contrasto all’evasione fiscale per non incoraggiare l’evasione su redditi futuri.

Al contrario, Giorgia Meloni ha accompagnato questo annuncio con un attacco scomposto all’Agenzia delle Entrate che ha investito molto in questi anni nell’incrocio delle banche dati per contrastare l’economia sommersa. L’accusa mossa all’Agenzia è quella di avere sistemi incentivanti che premiano il volume degli accertamenti rispetto a quanto effettivamente riscosso. In realtà sia l’Agenzia delle Entrate che l’Inps hanno da tempo adottato sistemi incentivanti basati sulla riscossione e non sull’accertamento.

Queste misure annunciate da Giorgia Meloni, se attuate, avrebbero anche l’effetto di mettere a rischio l’attuazione del Pnrr. In quel documento uno degli impegni più importanti presi dall’Italia, su cui verrà giudicata dalla Commissione, è di ridurre il tasso di irregolarità del lavoro (la percentuale di lavoratori irregolari sul totale) di due punti percentuali nel giro di tre anni. Attualmente l’Istat stima che ci siano tra 12 e 13 lavoratori ogni 100 che sfuggono al pagamento di tasse e contributi. Per raggiungere l’obiettivo del Pnrr si può calcolare che dovremmo far emergere più di mezzo milione di posizioni di lavoro, circa 200.000 all’anno. Sono tutte posizioni di “piccola evasione” e Giorgia Meloni gli unici accenni alla lotta all’evasione li ha fatti nei confronti della grande evasione (concetto peraltro nebuloso perché i grandi evasori hanno in genere redditi dichiarati nulli o molto bassi).

Passiamo agli impegni di confusione fiscale. Giorgia Meloni ha riproposto “l’introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente” di cui abbiamo già trattato su queste colonne. Si tratta di una misura semplicemente balzana, che non ha riscontro in alcun paese del mondo, (e non perché sia troppo geniale per essere copiata: per intenderci, è ancora più indifendibile della flat tax “standard” proposta da Lega e Forza Italia). Viola il principio costituzionale dell’equità orizzontale: se Gianni e Paolo hanno lo stesso reddito di 20mila euro ma Gianni l’anno scorso guadagnava 10mila euro e Paolo 30mila, Paolo verrà tassato molto meno di Gianni pur avendo lo stesso reddito. Per lo stesso motivo, può diventare una tassa sul reddito da lavoro regressiva, anche questo probabilmente un unicum mondiale. Accentua le fluttuazioni nel potere d’acquisto delle famiglie, e quindi rende l’economia meno stabile: premia chi sta aumentando i redditi rispetto a chi ha subito eventi avversi che ne hanno ridotto i guadagni: il contrario esatto di quello che fa l’imposta sui redditi in tutti gli altri paesi. Infine, complica enormemente il sistema fiscale: introduce letteralmente un numero infinito di aliquote, una per ogni reddito di partenza e per ogni ammontare di incremento del reddito; inoltre per compilare la dichiarazione dei redditi di quest’anno ho bisogno della dichiarazione degli ultimi tre anni.

Infine, non è affatto chiaro se l’incremento di reddito di quest’anno sarà tassato per sempre al 15 percento oppure tornerà all’aliquota normale se il mio reddito diminuisce l’anno prossimo, ma in entrambi i casi introduce enormi incentivi a fare ogni tipo di giochino per usufruire di un’aliquota più bassa.
L’impressione è che questa proposta sia stata introdotta per poter sbandierare il termine “flat tax” senza costi per l’erario di una vera flat tax. Ma gli estensori chiaramente non hanno pensato a tutte le sue implicazioni. Prima di fare pasticci non voluti di cui si pentirà amaramente, il governo è ancora in tempo a lasciarla cadere senza tanto rumore.

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