Pd, I tempi del Congresso, la divisione è tra Costituente vera o restyling

Carlo Bertini La Stampa 29 ottobre 2022
“Renzi ha messo le tende a destra”
Il 7 novembre al via la fase costituente. Ma è scontro sui tempi, Orlando boccia lo schema proposto dal segretario


«Non sono un segretario dimezzato», tiene a chiarire Enrico Letta ai referenti del Pd in Direzione. «Sarò arbitro nel congresso, ma segretario a tutti gli effetti da qui al 12 marzo, quando si terranno le primarie. E risponderò colpo su colpo a Renzi e Conte», dice riprendendo l’invito di Luigi Zanda. Ergo, anche le candidature alle regionali di Lazio e Lombardia e il duello con Meloni saranno gestiti da lui. Così come l’impostazione del congresso, su cui Paola De Micheli, si astiene in dissenso. Una sorta di voto di fiducia, cui non partecipano Matteo Orfini («sei mesi dal giorno delle elezioni per fare un congresso sono un’enormità») e Andrea Orlando: convinto che serva tempo e che i non iscritti debbano dire la loro su come organizzare il partito, per far sì che la nomina delle classi dirigenti non sia frutto di accordi correntizi.

Letta parla di «compromesso», spiega che ci sarà un regolamento da limare; e malgrado le critiche incassa il sì corale al timing proposto, considerato però troppo lungo da molti, ma obbligato dalle regole statutarie, «che non ho scritto io», ricorda il segretario uscente: la fase costituente parte il 7 novembre, si conclude il 22 gennaio, contempla le due tappe dell’apertura all’esterno e dei nodi da sciogliere: su lavoro, pensioni, sanità, collocazione internazionale.

Chi si iscrive vota i candidati

Alla fine, il 22 gennaio, ci sarà un Manifesto che aggiorna la Carta dei Valori, stilato dalla commissione congressuale. E quelli che si iscriveranno al partito potranno votare nei circoli fino al 26 febbraio sui vari candidati; chi invece non prenderà la tessera potrà votare solo alle primarie «a due» di marzo. Direzione tesa, ognuno dice la sua: scontro sui tempi – meglio presto che bene o il contrario – mozioni di orgoglio, fastidio diffuso per i nemici a sinistra. Stefano Bonaccini («evitiamo l’abbaglio che la rigenerazione del partito la faccia un congresso in tempi biblici»), parla dopo Orlando («stiamo provando a fare un restyling di quello che c’è e non è sufficiente»), tesi a confronto di due possibili candidati del fronte riformista e della sinistra. Peppe Provenzano lancia una frecciata a Bonaccini, che dice «no a discussioni filosofiche sul senso della sinistra mentre gli altri governano». Il vicesegretario si fa portavoce di chi vorrebbe tempi adeguati per una discussione vera («nel 2018 ci abbiamo messo un anno ad eleggere Zingaretti») e fa capire che la riuscita del processo costituente dipenderà da come si comporteranno i candidati alle primarie: «Dipende da ciascuno credere in questa fase di apertura e se qualcuno pensa che basti il suo nome a risolvere i problemi lo dica».

«In piazza contro la manovra»

Gianni Cuperlo la mette giù chiara: «O decidiamo una rifondazione pensata e gestita con tempi e regole per una vera Costituente, che garantisce solo a chi aderisce di scegliere la nuova leadership; oppure, se non è così, acceleriamo per non stare nel limbo in mezzo al guado».

Atmosfera frizzante insomma. Anche con i fratelli-coltelli di 5stelle e Terzo Polo. Che Letta sfida rivendicando il ruolo guida del Pd che porterà la gente in piazza contro la manovra del governo, con tre manifestazioni fino al 3 dicembre. «Qualcuno dell’opposizione ha trasferito le tende accanto alla maggioranza, in attesa di poterne sostituire una parte». Non è tenero Letta quando affibbia a Matteo Renzi il chiaro intento di tradire il fronte progressista. E non meno duro quando parla di Giuseppe Conte, «che gioca a fare il cavaliere solitario». A Renzi si riferisce quando dice che «chi fa un discorso di opposizione e passa tre quarti del suo tempo a parlare male del Pd è solo una stampella della maggioranza». A entrambi quando avverte «saremo sempre disponibili a coordinarci con tutti, ma non a farci prendere in giro». Il problema è che «questo governo lo metteremo in difficoltà se ci sarà un voto compatto di tutte le opposizioni». Servirebbe un coordinamento, di cui non si vede l’ombra.

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