Carlo Bertini La Stampa 29 ottobre 2022
Calenda-Renzi, il Polo è già ai ferri corti. Il patto per Boschi alla Vigilanza Rai
Il sospetto di Azione: «Matteo ha fatto un accordo con Meloni per Maria Elena«. I dem: «Non arriveranno a mangiare il panettone«
Se fosse un racconto d’altri tempi, l’incipit dovrebbe essere «qui si narra la tensione di una coppia in formazione», perché i due protagonisti, i senatori Matteo Renzi da Firenze e Carlo Calenda da Roma, pare siano già ai ferri corti ancor prima di unirsi in matrimonio e dare vita ad una famiglia sotto le bandiere terzopoliste. Non è solo Enrico Letta a sospettare intese sottobanco di Renzi con i vincitori, accusandolo di aver «piantato le tende nella maggioranza». Il leader di Azione non a caso è più duro con il governo («rispetto a Renzi, in Senato avrei fatto un discorso diverso», ha ammesso in un’intervista sul nostro giornale»).
E dunque, dopo una settimana di legislatura, ha già materia in abbondanza per sospettare la voglia di intelligenza col nemico. «Per me è già un miracolo se i due arrivano a mangiare il panettone», pronostica il dem Francesco Boccia. Del resto, basta sentire gli attacchi di Osvaldo Napoli di Azione a Meloni – «pessimo esordio, premia i furbi e punisce gli onesti» – per registrare due diversi approcci.
Narrano i più informati frequentatori del Palazzo che Calenda si fosse già sfogato prima del dibattito sulla fiducia con una personalità di alto rango istituzionale, guarda caso proprio in quel di Firenze pochi giorni fa. Mettendolo a parte del fatto che con Matteo è costretto a discutere sulle virgole e che la convivenza è ardua se non impossibile. Fin qui niente di sorprendente. Un pensiero più maligno agli «azionisti» è venuto dopo aver sentito il discorso di Renzi in Senato: quelle carezze di riguardo e quegli attacchi al Pd così ben congegnati e ben accolti, tra risa e applausi, dai banchi del governo, premier inclusa: «Ecco perché Matteo ci teneva a fare la dichiarazione di voto sulla fiducia a nome del gruppo: voleva mandare un segnale».
Dopo aver soppesato le aperture a Meloni dell’ex leader del Pd, uno che lo conosce bene, Matteo Richetti, capogruppo alla Camera, ha invitato un suo collega a «ragionare come se lui avesse già deciso di passare ad un appoggio esterno al governo. Dobbiamo prepararci al dopo…». Ben sapendo che la postura di Azione rispetto all’esecutivo Meloni, pur pragmatica, non prelude a uno scenario di intese, ma a restare in trincea distanti. Il sospetto di alcuni di Azione, (una certezza per i più navigati), è che Renzi abbia già stretto un accordo con Meloni, altrimenti non avrebbe fatto tali aperture. Un accordo per garantire, alla bisogna, quattro o cinque voti in Senato ai provvedimenti del governo, giustificabili con la dizione «nell’interesse degli italiani». In cambio della presidenza della commissione di vigilanza Rai, che Pd e 5stelle non gli vogliono concedere; e per la quale servono i voti della maggioranza: carica da affidare a Maria Elena Boschi. Soluzione gradita anche al Cavaliere.
Normale dunque che dalle parti di Calenda siano in subbuglio. Tormentati da quella che chiamano «l’indifferenza di Carlo sugli incarichi», terreno in cui è maestro Renzi. Mugugni e recriminazioni cui il capo di Azione reagisce con un’alzata di spalle.
Uno dei suoi colonnelli svela il timore che «se Matteo decidesse di dare un appoggio esterno al governo (votandone le leggi senza avere ministri propri, ndr.), alcuni di noi lo seguirebbero, attratti da possibili poltrone».
Intanto gli “azionisti” stanno per ripartire alcune cariche, dopo gli equilibri con Iv messi a dura prova nei gruppi. Le due ex ministre avranno un loro posto in tribuna: Mara Carfagna sarà eletta presidente di Azione il 19 novembre all’assemblea nazionale a Napoli, e Maria Stella Gelmini verrà nominata vicesegretaria e portavoce. Ma la tensione non si placherà: se si farà la Federazione tra Iv e Azione stilando una carta comune, nessuno scommette sull’approdo in un partito unico tra un anno, come da programma, in vista delle Europee del 2024. Dove il terzo Polo (se arriverà unito) dovrebbe fare l’exploit, seguendo lo schema di Renzi, quello che dal Pd definiscono «il format francese: lui nei panni di Macron, noi estinti come i socialisti del Ps, Conte nel ruolo di Mélenchon…». E Calenda?