Le false emergenze dei nuovi patrioti

Alessandro De Angelis La Stampa 7 novembre 2022
Le false emergenze dei nuovi patrioti
E ci risiamo, come in un deja vu del Conte 1, con i corpi dei poveri cristi esposti al mercanteggiamento politico dai “pizzicagnoli” di vite umane.

Pizzicagnoli di una piccola Europa, subalterna al nazional-populismo: che schiaffo sarebbe stato all’Italia dell’ultradestra se, per questa volta, Amburgo avesse accolto qualche centinaio di migranti di fronte a una palese violazione delle convenzioni internazionali. Pizzicagnoli di una miserabile Italietta che, dopo il “no” al “prendeteveli voi”, hanno iniziato col tanto al chilo sull’Humanitas: “trentaquattro restano a bordo”, “i fragili scendono”, sperando che non ne infragilisca uno sulla nave, sennò diventano trentatré, o che qualcuno non si butti in acqua, eventualità al momento non prevista dall’attuale inquilino “tecnico” del Viminale, in evidente balìa del suo predecessore. Poggiato sulla sua spalla come un corvo, più lo loda più lo inchioda, in termini di condizionamento politico e di margini di azione.

E chissà se Giorgia Meloni, nel corso della sua visita europea densa di “attenzioni positive”, ha spiegato se intenda gestire il dossier per i prossimi anni con una prospettiva che non sia questa. C’è poco da fare: l’immigrazione è l’esempio icastico di come il sovranismo sia il primo ostacolo ai problemi che esso pone, sin da quando, con Salvini al Viminale, il Conte 1 – guidato dall’attuale capo dell’opposizione, non a caso indignato molto blandamente – per fare un favore ai paesi di Visegrad, acconsentì a derubricare la “redistribuzione” dei migranti da obbligatoria a volontaria.

La decisione, al tempo stesso, ha minato un meccanismo di solidarietà europea e alimentato un cortocircuito che ha reso “irrisolvibile” il problema, perché ognuno è sovranista a casa propria: i vari Salvini e Meloni che sono al governo in Europa “se ne fregano dell’Italia”, lasciando soli i Salvini e Meloni italiani e nei paesi in cui sono all’opposizione condizionano comunque i governi (vedi la Francia) perché cedere all’Italia significa consegnare pezzi di opinioni pubbliche al sovranismo domestico. Magari andrà a finire che, se c’è un giudice a Pozzallo, prima o poi sbarcheranno, in attesa che la prossima nave consenta il medesimo cinico copione agli impresari della paura: la denuncia di una invasione (che non c’è), e il pugno di ferro da mostrare a favor di telecamera – stessa logica dei rave – perché il punto non è il “governo” del fenomeno ma il fatturato elettorale su un’emergenza, che tale non è, ma da rendere permanente nella sua rappresentazione.

I numeri: a fronte dei quasi mille migranti a bordo delle tre Ong, sono circa novemila quelli sbarcati dal giorno della campanella a palazzo Chigi. Per dare un’idea di un’emergenza reale: a fine giugno 2017 ne arrivarono in poche ore 13.500 a bordo di 26 navi, e non fu chiuso un solo porto. La differenza è che allora, con Marco Minniti, c’era un modello “strutturale” che coniugava umanità e sicurezza – corridoi umanitari, Nazioni unite nei centri di accoglienza – ed eravamo in Libia, lì dove oggi ci sono russi e turchi. Risultato (allora): 25mila rimpatri assistiti. Un patrimonio politico smantellato, senza che poi sia stato sostituito da uno straccio di idea di governo del problema.

 

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