Se comincia il post Trump è un guaio, per i democratici

Federico Rampini Corriere della Sera 11 novembre 2022
Se comincia il post Trump è un guaio, per i democratici
Il giorno dopo le elezioni di midterm, in casa repubblicana è partito un coro di accuse contro Donald Trump, preludio alla demolizione del suo mito. Certo, l’ex presidente venderà cara la pelle alle primarie, e punterà alla carneficina. Ma è tra i democratici che l’aprirsi di una nuova stagione rischia di causare più grattacapi: ecco perché

 

Come sta la democrazia americana? Benone, grazie.

Gli allarmi per la sua morte imminente erano fortemente esagerati, come avrebbe detto Mark Twain. Roba da campagna elettorale, tutti quegli appelli di Joe Biden e Barack Obama sulla «democrazia in pericolo».

Ora non ne parla più nessuno, eppure i repubblicani si avviano verso una (sottile) maggioranza alla Camera. Se uno dovesse prendere alla lettera l’allarmismo degli ultimi comizi di Biden-Obama, ieri la democrazia americana è morta visto che i democratici hanno perso la maggioranza in uno dei rami del Congresso (per l’altro si vedrà fra un mese). Però il cinismo ha funzionato.

Va ricordato un brutto, scabroso risvolto di questa campagna elettorale. Mentre da un parte i democratici descrivevano un’America minacciata dal fascismo, dall’altra facevano tutto il possibile per aiutare Donald Trump a imporre i suoi candidati nelle primarie del partito repubblicano. Letteralmente tutto il possibile: fino a versare fondi dalle casse dei vari comitati elettorali democratici alle campagne dei candidati trumpiani.

Non sto rivelando un segreto: tutto questo è avvenuto alla luce del sole, come impongono le leggi sui finanziamenti elettorali.

Il calcolo machiavellico dei democratici era questo: più il Grand Old Party si appiattisce su Trump, più schiera nei collegi parlamentari dei candidati estremisti (e spesso incompetenti perché selezionati solo in base alla fedeltà trumpiana), più crescono le possibilità dei democratici.

Sui palchi dei comizi Biden e Obama denunciavano il trump-fascismo alle porte, dietro le quinte lo finanziavano per avere un avversario da demonizzare.

Però la politica è fatta anche di questo. Ha funzionato. La marea repubblicana si è ridotta a un rigagnolo. E del resto i repubblicani devono prendersela con se stessi: nessuno li obbligava a cadere nella trappola. Il mostro Trump se lo sono costruito loro.
Ora però si apre una fase politica diversa.
Forse è davvero cominciato il dopo-Trump.

Paradossalmente un’elezione che ha deluso i repubblicani e generato sollievo a sinistra, ora può aiutare i repubblicani ad avviare il cambiamento, mentre potrebbe bloccare il rinnovamento in casa dem. Ecco perché.

In casa repubblicana l’indomani del voto ha scatenato la caccia al colpevole ed è un coro di accuse a Trump: è lui che nel corso delle primarie ha voluto selezionare a tutti i costi dei «negazionisti» (quelli che non accettano la legittimità dell’elezione di Biden nel novembre 2020) a scapito di ogni altro criterio di competenza e solidità dei candidati. La qualità scadente dei personaggi messi in campo sembra la spiegazione dominante della mediocre performance alle urne. In ogni caso questo è il discorso prevalente oggi a destra. Il che significa che è cominciata la demolizione del mito di Trump, che prelude a una gara per sostituirlo come candidato nel 2024.

Il favorito del momento è Ron DeSantis per l’ovvia ragione che si è fatto rieleggere in Florida in modo trionfale, conquistando anche circoscrizioni piene di immigrati latinos che votavano democratico. La corsa da qui alla nomination sarà lunga, emergeranno altri nomi oltre a DeSantis, Trump venderà cara la sua pelle e tenterà una carneficina.

Però il Grand Old Party sembra avviato sulla buona strada per operare il ricambio generazionale e liberarsi di un personaggio distruttivo.

Il contrario è vero in campo democratico. Il sollievo immediato per la mancata débacle rafforza Joe Biden ma questo crea un problema. Il presidente ha già indicato che intende ricandidarsi.

Immaginarsi la gara fra un ottantenne e un quarantenne (DeSantis) nel 2024: problematica.

Ora che lui si considera praticamente un «resuscitato», fargli fare un passo indietro sarà difficile. Né basterebbe convincerlo a ritirarsi in favore della sua vice Kamala Harris: implosa. Sfidare apertamente il presidente in carica nelle primarie del suo partito è un fatto quasi inaudito, raro e azzardato. Ci provò Ted Kennedy contro Jimmy Carter nel 1980: prevalse il presidente in carica, perfino contro un Kennedy. Poi comunque Carter andò a perdere contro Ronald Reagan.

Oltre alla questione del ricambio generazionale, la mancata débacle di martedì 8 novembre può bloccare anche ogni tentativo autocritico in casa democratica. Eppure le emorragie di voti ci sono stati, per esempio in una roccaforte della sinistra come lo Stato di New York.

Che farà il partito di Biden, se nel 2024 dall’altra parte non dovesse più esserci il mostruoso Trump, e quindi dovesse risultare meno credibile il «fascismo dietro l’angolo»?

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