C’era una volta l’intesa tra dem e 5S su Bray nel Lazio

Lorenzo d’Albergo La Repubblica 12 novembre 2022
C’era una volta l’intesa tra dem e 5S.
Così è sfumato Bray L’ex ministro sacrificato dai piani penta stellati “Guastare le Regionali e prendersi la sinistra”

 

 

Prima della rottura, ci avevano provato sul serio. Pd e 5S sono stati a un passo dall’intesa per le Regionali. Tanto da aver persino individuato il candidato giusto in Massimo Bray, già ministro della Cultura ed ex assessore della giunta Emiliano in Puglia. Poche ore dopo aver ottenuto l’impegno e il via libera all’annuncio da parte del diretto interessato, è arrivato il violentissimo dietrofront di Giuseppe Conte: strappo e stop alle trattative con i dem. All’ipotesi avevano lavorato con pazienza quasi tutti i protagonisti di questa storia. Giuseppe Conte aveva alzato la cornetta per convincere Bray, da sempre vicino all’ala sinistra del Movimento. Poi, a stretto giro, si era mosso anche l’ormai ex governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. Telefonate e messaggini, però, si sono rivelati inutili. Poco prima della stretta finale è arrivata la conferenza di Conte, l’invito al Partito democratico a condividere il «no» grillino al termovalorizzatore nei piani del sindaco Roberto Gualtieri.

A quel punto i telefonini hanno ripreso a trillare di nuovo. Anche quello di Bray, dalemiano doc. Dal Nazareno e dintorni, dopo averlo cercato muovendo anche il responsabile dem degli Enti locali, Francesco Boccia, sono arrivate chiamate al limite dell’imbarazzato. Per la serie: «Scusaci Massimo, ma davanti a una mossa del genere non possiamo far altro che alzare le mani. Dobbiamo lasciar perdere. I piani di Conte sono cambiati. Vuole farci perdere alle Regionali, sia qui nel Lazio che in Lombardia, per indebolirci e poi mettersi a capo della sinistra». Vestendo i panni dell’unico vero leader progressista nel Paese per dare le carte alla prossima tornata, quando le urne per le Europee si incroceranno con quelle delle Amministrative.

Una prospettiva che non piace affatto al Pd. E che Bray ha già subito sulla proprio pelle: quando è stato contattato dai dem, l’ex ministro aveva dato il suo assenso a patto di essere il candidato del campo largo. O almeno di un fronte che tenesse dentro Pd e 5S. La promessa di chi lo ha cercato è durata dalla sera di lunedì al primo pomeriggio di martedì, quando Conte ha parlato. E strappato.

Se lo si chiede ai fedelissimi del leader grillino, il nodo resta quello dei temi: «Abbiamo messo al centro il programma ed è arrivato un altro “sì” all’inceneritore. Siamo per il “no” da sempre, è un nostro elemento identitario. Non possiamo far finta di nulla». Dall’altra parte della barricata, ci sono i dem: «Altroché, l’obiettivo di Conte non è mai stato mediare. Vuole solo mandarci a sbattere e poi passare all’incasso». Il resto è cronaca e ha le fattezze di Alessio D’Amato, assessore alla Sanità anti-Covid della giunta Zingaretti. Il candidato del Pd e del Terzo polo è lui. In un universo parallelo, a tinte giallorosse, al suo posto ci sarebbe stato Bray

 

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