Paolo Garimberti La Repubblica 15 novembre 2022
Putin, il convitato di pietra
Nell’incontro di Bali tra Biden e Xi, lo zar era presente anche se non c’era. E nel frattempo si apriva un vertice delle spie
C’era un convitato di pietra al primo faccia a faccia tra Joe Biden e Xi Jinping: Vladimir Putin. E ha finito per fare molto rumore. Perché mentre il presidente americano e quello cinese si stringevano la mano a Bali con una cordialità troppo sbandierata per essere del tutto autentica, è arrivata la notizia di un colloquio ad Ankara tra il capo della Cia Bill Burns e il suo omologo russo Sergej Naryshkin, il primo incontro di persone tra alti funzionari americani e russi da quando è iniziata la guerra in Ucraina.
Burns è l’uomo di fiducia di Biden per le missioni difficili, al quale il presidente si affida per una diplomazia alternativa a quella più ufficiale del segretario di Stato Antony Blinken. È stato ambasciatore a Mosca, dal 2005 al 2008, dove aveva già lavorato come consigliere d’ambasciata. Parla correntemente il russo, conosce benissimo Putin. Era dunque l’uomo giusto per portare a Naryshkin (uno dei pochissimi di cui si fida lo zar) un monito duro e chiaro. In sintesi: non azzardatevi ad usare l’atomica tattica perché altrimenti vi distruggeremo. Che nel linguaggio più felpato del comunicato ufficiale viene definito “un messaggio sulle conseguenze dell’uso di armi nucleari da parte della Russia e i rischi di un’escalation per la stabilità strategica”. Tra Burns e Naryshkin ci sono affinità. Il capo dello spionaggio estero russo è un uomo silenzioso e discreto, molto influente (è stato perfino indicato come un possibile successore di Putin). Lui e il capo della Cia sono fatti per intendersi.
Il loro incontro è importante per tre ragioni, sottolineate dal fatto che è stato reso pubblico, mentre normalmente i capi delle spie si vedono in gran segreto. La prima ragione è la tempistica: pochi giorni dopo la riconquista di Kherson da parte ucraina. A settembre, nella cerimonia per l’annessione di quattro regioni ucraine al Cremlino, Putin aveva detto che Mosca “userà tutti i mezzi a sua disposizione per proteggere i nuovi territori” (sottinteso, anche le atomiche tattiche). Seconda ragione: ieri il presidente ucraino Zelensky è andato in visita a Kherson per celebrare la ritirata russa e il ritorno delle bandiere ucraine e ha detto che questo potrebbe essere “l’inizio della fine della guerra” anche se “la strada è ancora lunga”. Solo coincidenza che l’avvertimento di Burns a Naryshkin sia avvenuto nello stesso giorno della visita di Zelensky? Terza ragione: a Washington c’è un partito sotterraneo della trattativa che è venuto allo scoperto con una dichiarazione del capo di stato maggiore Mark Milley, peraltro molto criticata, sul congelamento bellico per l’inverno che potrebbe aprire “una finestra per parlarsi”. Burns e Naryshkin hanno cominciato a farlo?
Il piccolo vertice inatteso di Ankara ha finito per oscurare, anche nella gerarchia delle notizie, il grande vertice molto atteso di Bali. Dove Biden e Xi Jinping hanno concordato che anche nella politica internazionale possono esistere le “convegenze parallele”. Si sono parlati “candidamente” mantenendo ognuno le proprie posizioni sui temi controversi, dai diritti umani nel Xingiang, o nel Tibet, o a Hong Kong (almeno secondo la versione della Casa Bianca), e soprattutto su Taiwan, dopo la visita di Nancy Pelosi tre mesi fa che ha fatto infuriare Pechino e che resta (secondo la versione cinese) “la prima linea rossa da non oltrepassare nelle relazioni cino-americane”.
Ma anche se non è riuscito a dirimere le divergenze e a dissipare la reciproca diffidenza, il primo incontro di persona durato ben tre ore, dopo cinque colloqui telefonici, ha portato Biden e Xi a concordare che devono “gestire la competizione per evitare che la rivalità tra le due potenze sfoci in conflitto”. Perché si sentono i “leader delle due principali economie del mondo”, come recita il comunicato. E questo è un duro colpo per il convitato di pietra Vladimir Putin, che viene declassato a potenza di secondo rango. Anche se nei fatti era così anche prima, il “summit” di Bali sanziona ufficialmente che per gli Stati Uniti il vero “competitor” su scala globale è la Cina. E per la Cina l’ “amicizia senza limiti” con la Russia viene declinata in chiave di subalternità di Mosca a Pechino.
Poi Xi continua a essere protettivo (difficile dire quanto sinceramente) nei confronti di Putin, come si evince dalle sottigliezze diplomatiche dei diversi comunicati sulla minaccia nucleare in Ucraina. Secondo gli americani i due presidenti hanno “reiterato il loro convincimento che una guerra nucleare non deve mai essere combattuta e non può mai essere vinta, e hanno sottolineato la loro opposizione all’uso o alla minaccia di armi nucleari in Ucraina”. Ma i cinesi, nella loro dichiarazione, non fanno alcuna menzione di armi nucleari in Ucraina. E il silenzio non è certo frutto di una dimenticanza.
In conclusione, la temperatura dei rapporti tra America e Cina, che si era alzata a livello di guardia dopo la visita di Pelosi a Taiwan, si è sensibilmente raffreddata dopo le tre ore di faccia a faccia tra Biden a Xi, come conferma la decisione di riprendere a parlarsi su temi come il clima e l’economia, sui quali il dialogo si era interrotto. E Putin potrebbe pentirsi di non essere andato al G20 di Bali, perché la sua assenza, dopo l’incontro di persona tra Biden e Xi e il monito di Burns a Naryshkin, finisce per sottolineare la debolezza diplomatica, dopo quella militare, dello zar. Da ieri anche l’amicizia senza limiti con Xi sembra piuttosto un’amicizia condizionata dagli interessi della Cina.