Stefano Cappellini La Repubblica 16 novembre 2022
D’Amato il pragmatico, da navigante delle sinistre a frontman anti-Covid
Candidato Pd in Lazio, ha cambiato look. Respinge le accuse sui vaccini: “Sono limpido”. Punta a una coalizione con Calenda e Verdi-SI: “Si può vincere anche senza Cinque stelle”
C’è un indizio certo quando un politico di sinistra ha l’ambizione di fare un salto di livello che passa da una sfida elettorale: il cambio di montatura degli occhiali. Alessio D’Amato l’ha cambiata: alleggerita, meno sezione e più aperitivo.
Ora che si avvicina la sfida che lo vedrà candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio, il dominus della sanità locale – prima subcommissario quando il Lazio era sotto schiaffo per il dissesto, poi assessore in prima linea contro l’emergenza Covid, in entrambi i casi al fianco di Nicola Zingaretti – ha cominciato a rivedere il look: capelli più corti, variazione cromatica negli abiti, per scurire con qualche tono di blu i suoi abituali completi carta da zucchero: “Non l’abbiamo mai visto senza giacca e cravatta”, dicono i suoi colleghi in giunta regionale.
E negli ultimi anni l’hanno visto tanto. Da quando è scoppiata l’emergenza Covid ha fatto poche settimane di vacanze in tutto. In camper, con moglie e figlio che gioca a calcio nei Dilettanti. Sta nella buona gestione della campagna vaccinale il trampolino della sua candidatura, anche se i detrattori, che non mancano mai, dicono che l’efficienza della macchina regionale è stata raggiunta a scapito delle altre prestazioni specialistiche.
“Se non ci dividiamo, possiamo vincere”, dice D’Amato a Repubblica. Definirlo politicamente, più che difficile, rischia di essere inutile. Di sinistra, è di sinistra. Le ha navigate quasi tutte, le sinistre: giovanissimo nel Pci, poi Rifondazione comunista, tendenza Armando Cossutta, infatti esce con la scissione dei Comunisti italiani, lascia il Pdci dopo una polemica pubblica sulla questione palestinese (lui aveva un punto di vista filo-israeliano), quindi fonda una associazione Rosso-Verde insieme ad Angelo Bonelli, che ora non gli perdona di essere stato lanciato da Calenda, infine si avvicina al Partito democratico.
Tutti però concordano nel sostenere che la sua qualità principale è nel pragmatismo, nelle capacità organizzative, nei carichi di lavoro e poco nell’ideologia. Anche i suoi consiglieri più fidati tengono insieme storie diverse dell’album di famiglia: uno è Esterino Montino, sindaco di Fiumicino, storico esponente del Pci-Pds-Ds, che alla fine potrebbe essere anche il presidente del comitato elettorale; l’altro è Claudio Velardi, l’ex Lothar dalemiano, conosciuto attraverso amicizie comuni e da anni consulente politico trasversale. Velardi porta in dote il rapporto con la sondaggista Alessandra Ghisleri, Montino porta la sua profonda conoscenza del territorio e forse anche la candidatura della moglie Monica Cirinnà, non eletta alle Politiche.
Per ora appoggiano D’Amato: Pd, Calenda e Renzi. In dubbio: Bonelli e Fratoianni. Certamente contro: i grillini. “Si può vincere anche senza di loro”, è la certezza di D’Amato. Ai leader dei Verdi e di Sinistra italiana D’Amato lancia invece un appello: “Vorrei presentare con tutta la coalizione un programma basato sul lavoro, sul reddito di formazione, sull’ambiente e il no al nucleare. Non commettiamo l’errore di consegnare la Regione alle destre”.
In attesa di capire chi sarà il suo sfidante, D’Amato deve fare i conti con due spiacevoli vicende del passato, subito cavalcate dagli avversari. Una è la condanna della Corte dei conti per una storia di oltre 15 anni fa, un finanziamento pubblico di 260 mila euro all’Associazione Italia-Amazzonia, altra vecchia creatura del nostro in tandem con Bonelli, che secondo la sentenza sarebbero stati usati con finalità diverse dal dovuto.
L’altra è l’accordo firmato in piena pandemia dall’Istituto Spallanzani, e caldeggiato proprio da D’Amato, con l’Istituto Gameleya di Mosca: prevedeva uno scambio di informazioni tra gli scienziati italiani e quelli russi. Gli italiani non sono mai andati a Mosca, invece i russi a Roma ci sono venuti eccome, e non è ancora chiarissimo a quali dati sensibili abbiano avuto accesso.
“A nessun dato sensibile”, giura D’Amato, che in quel periodo fu anche sponsor del vaccino Sputnik. Da segnalare che, alla direzione dello Spallanzani, D’Amato ha poi nominato il manager Francesco Vaia, un nome che forse non dice molto a tanti, ma la cui storia è ben presente a chi negli anni Zero lesse un fortunato libro-inchiesta sulle ruberie nella sanità laziale firmato proprio da D’Amato, Lady Asl: uno dei capitoli era dedicato proprio a Vaia. “Nella vita – spiega D’Amato – una seconda chance va concessa a tutti. E nella pandemia Vaia ha svolto un lavoro eccellente, tanto da aver ricevuto da Mattarella una delle onoreficenze più alte”.
Questioni controverse che non cancellano l’efficacia con cui D’Amato, riunione dopo riunione, sbraitando, ha messo in riga i dirigenti chiamati a far funzionare la campagna vaccinale. Ora D’Amato si sente pronto a convincere gli elettori: “Nella vita – dice – devo tutto a mia madre, da ragazzo ho lavorato in cantiere, a Pietralata ho subito anche un grave infortunio con una sega circolare. La mia è una storia limpida di sinistra”.