Gianluca Di Feo La Repubblica 16 novembre 2022
Missili sulla Polonia, perché siamo in bilico sull’abisso
I due ordigni piombati sul villaggio di Przewodów concretizzano l’incubo che da mesi aleggia nelle cancellerie occidentali: l’escalation del conflitto e il rischio che la guerra travalichi i confini dell’Ucraina. Mai come ora è importante accertare i fatti per valutare la risposta. Qualsiasi mossa azzardata può innescare una reazione a catena
I missili di Przewodów concretizzano l’incubo che da mesi aleggia nelle cancellerie occidentali: l’escalation del conflitto e il rischio che la guerra travalichi i confini dell’Ucraina. I due ordigni piombati sul minuscolo villaggio polacco, così vicino alla frontiera da avere condiviso per secoli la sua storia con quella ucraina, sono in grado di giustificare formalmente la mobilitazione dell’Alleanza Atlantica in base all’Articolo Cinque.
È il principio fondante della Nato, quello che impone la difesa collettiva di ogni membro “per proteggersi l’un l’altro” contro qualsiasi attacco esterno. È stato invocato una sola volta: davanti alle macerie delle Torri Gemelle all’indomani dell’11 settembre 2001.
Ed è proprio questo precedente a far comprendere quanto sia grave la situazione: mai in questi nove mesi di orrore provocati dall’invasione russa la prospettiva di un allargamento dello scontro è stata così concreta.
Le prime notizie e le immagini trapelate sul web fanno pensare a un errore e non a un’aggressione deliberata. I missili russi spesso si sono dimostrati imprecisi e quelli lanciati contro i territori dell’Ucraina occidentale in genere partono dalle navi del Mar Nero o addirittura del Caspio.
Inoltre, non si può escludere che la traiettoria degli ordigni sia stata deviata dall’azione della contraerea o che – come sostiene Mosca – si tratti di armi della difesa ucraina. Tutti elementi che verranno valutati con cura nelle prossime ore, esaminando i tracciati radar e i rottami, per accertare ogni elemento.
In quello che sta accadendo c’è comunque una responsabilità russa, perché chi ha pianificato l’offensiva terroristica di ieri (martedì 15 novembre) contro le città e le centrali elettriche ucraine ha scelto di colpire a ridosso della Polonia: almeno tre dei bersagli selezionati si trovano a poche decine di chilometri dal confine.
Nella volontà di scatenare un raid furioso contro la popolazione i generali di Putin hanno deciso di ignorare la percentuale di errore che accompagna sempre il volo di un’arma a migliaia di chilometri di distanza, lanciando due ordigni in direzione della frontiera polacca e accettando consapevolmente la possibilità di provocare un incidente dalle conseguenze imprevedibili. Perché in Polonia sono schierate in massa le forze della Nato, con un contingente statunitense che pattuglia anche la zona dell’esplosione.
Queste decisioni scellerate testimoniano la situazione di crisi che si vive a Mosca, con un apparato militare incapace di fronteggiare la situazione sul campo e uscito sconfitto da tutte le battaglie di questi nove mesi: cerca di assecondare la volontà del Cremlino e tutelare la propria credibilità agli occhi dello Zar scatenando ondate di cruise contro i civili.
La risposta immediata del ministero della Difesa è stata negare l’evidenza, smentendo persino quello che i siti della sua propaganda poche ore prima avevano affermato, mostrando sulle mappe gli obiettivi distrutti nella regione di Leopoli: “È una provocazione. Non ci sono state incursioni in prossimità del confine ucraino-polacco”.
Adesso i vertici della Nato sono davanti a una prova inedita, mai vissuta neppure nei momenti più cupi della Guerra Fredda, quando ogni confronto era regolato da geometrie di potere e gerarchie di comando.
L’attacco contro uno Stato membro dell’Alleanza non sembra far parte di un disegno strategico ma pare frutto dello sgretolamento del sistema bellico putiniano, che come una macchina impazzita scaglia missili in qualsiasi direzione. E – come più volte il Cremlino ha ricordato – ha a portata di mano un arsenale sterminato di testate nucleari.
Abbiamo davanti ore drammatiche, in cui verranno alla luce le tensioni e le divisioni accumulate all’interno della Nato dall’inizio dell’invasione. La Polonia è il leader di quei Paesi che hanno vissuto sulla loro pelle la ferocia dell’occupazione sovietica e per questo sono disposti a sostenere a oltranza la volontà di lotta ucraina.
Subito Varsavia ha avuto la solidarietà delle capitali baltiche, unite dallo stesso passato e dall’identica determinazione a provocare una disfatta definitiva all’armata russa: sono le nazioni che sin da febbraio chiedono la protezione diretta del Patto atlantico. Più cauto il governo britannico, che vuole “indagare le notizie a stretto contatto degli alleati”.
Mai come ora è importante accertare i fatti per valutare la risposta, perché in una situazione incandescente qualsiasi mossa azzardata può innescare una reazione a catena. L’instabilità dell’apparato militare russo è in grado di generare mostri e i falchi ultranazionalisti che tengono il Cremlino sotto pressione stanno solo cercando un pretesto per aprire le porte dell’Armageddon atomico.