L’emergenza del combinato inflazione, prezzi, recessione, povertà

Francesco Manacorda La Repubblica 17 novembre 2022
L’esame più difficile
Sì, l’emergenza c’è. E non solo perché lo dice Maurizio Landini, che fa il suo mestiere – spostare il più possibile le scarse risorse della politica redistributiva verso coloro che rappresenta – ma perché il rischio concreto è che la stessa politica redistributiva finisca per ridursi a un rigagnolo in secca di fronte al micidiale combinato disposto di un’inflazione giunta al record quarantennale con un +11,8% (per giunta dopo una lieve revisione al ribasso…) e di una recessione che molti segnalano in arrivo.

 

Anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco fa il suo mestiere; quello di banchiere centrale preoccupato soprattutto della stabilità dei prezzi. Lo fa, come ieri, quando avverte che «vane rincorse» tra prezzi e salari rischiano di portare soltanto un provvisorio sollievo, ma nel medio termine è concreto il pericolo che diano il via a una spirale inflazionistica perversa in cui aumenti del costo del lavoro vengono scaricati sui consumatori, portando a ulteriori rialzi dei prezzi.

Certo, Visco è tutt’altro che un “falco” nel variegato bestiario dei banchieri centrali – anche ieri ha ribadito che il rialzo dei tassi può essere «meno aggressivo» di quanto finora attuato e ipotizzato. Ma resta difficile contagiare con la saggezza dei banchieri centrali chi ha visto schizzare i prezzi di qualsiasi cosa – gas ed elettricità, zucchero, pane, pannolini – di quasi il 12% in dodici mesi senza vedere invece aumentare il suo stipendio. E rischia di essere rispedita al mittente l’altrettanto saggia ricetta per evitare spirali inflazionistiche da chi – come i lavoratori dipendenti italiani – è all’ultimo posto della zona Euro per la crescita dei salari reali (cioè al netto dell’inflazione) nel trentennio 1990-2020.

Che poi questi scarsissimi risultati siano la diretta conseguenza della minima crescita di produttività delle imprese italiane nello stesso trentennio è una spiegazione che però non cambia la necessità di tamponare i problemi nell’immediato, prima appunto che assumano il carattere di una vera emergenza. Né aiuta più di tanto, in questo frangente, sapere che l’inflazione è importata ed è frutto dell’attacco sferrato dalla Russia all’Ucraina e delle successive reazioni occidentali.

L’aumento dei prezzi non pare destinato a sparire prestissimo e in Europa, a differenza che negli Stati Uniti dove a spingere l’inflazione è una robusta corsa dell’economia, il fantasma che si aggira è quello della deflazione, ossia del mix tra inflazione e recessione.
Per il governo l’esame più difficile arriva così adesso, senza corsi preparatori ed è un esame che prevede il lancio di un salvagente ai redditi più bassi, a chi da questa crisi che avanza mentre i tassi di interesse salgono, rischia di uscire con danni seri. Palazzo Chigi, con i suoi ministri, deve decidere se nel tiro alla corda tra sindacati e industriali la riduzione del cuneo fiscale deve andare a favorire più i lavoratori o le imprese; deve trovare un modo per sostenere le fasce più deboli, riuscendo al tempo stesso a scremare la vera necessità attenuata dal reddito di cittadinanza dalla massa dei beneficiati a Cinque Stelle.

Deve prendere atto che la sterzata leghista su Reddito di Cittadinanza e pensioni anticipate, con la chiara intenzione di di spostare sussidi pubblici dalle persone disoccupate specie nel Mezzogiorno ai tanti che hanno cominciato a lavorare presto nel Nord Italia, può risolversi in uno scontro con il muro del disagio sociale. Deve aprire gli occhi davanti al miraggio della flat tax che, per quanto declinata in mille varianti, si sta già mostrando per la missione impossibile che di fatto è. Non a caso quell’ircocervo della politica italiana che è il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti – davvero una figura mitologica, metà leghista e metà ministro del governo Draghi – ha già capito meglio di molti altri che i forzieri da aprire per trasformare le troppe promesse elettorali in fatti concreti non ci sono o sono vuoti.

A margine resta poi un non secondario discorso tra ciò che è e ciò che appare in termini di distribuzione della ricchezza e di equità fiscale: ossia il tema, trito e ritrito, ma che pare interessare davvero a pochi, che lavoratori dipendenti e pensionati pagano volenti o nolenti tutte le loro tasse, mentre chi non ha trattenute alla fonte trova troppo spesso il modo di aggirare o semplicemente evadere quelle tasse.
Nulla di nuovo, appunto, così come nulla di nuovo sono i propositi di ciascun governo di incassare nuove e talvolta mirabolanti risorse tramite quel sempreverde forse di una specie esotica che si chiama «lotta all’evasione» e che non fiorisce mai in qualcosa di concreto. La presenza di un’economia che non si vede e che il Fisco non vede è come una lente deformante su qualsiasi interpretazione di dati e fatti, in generale a svantaggio di chi le tasse le paga. Ma anche qui, con il nuovo governo – e si immagina con soddisfazione dei suoi elettori – la musica è cambiata: tra rialzo al tetto del contante e prospettive di sanatoria il liberi tutti è già scattato in un Paese dove i «ricchi», quelli che dichiarano al Fisco oltre 100 mila euro, sono poco più di uno su cento.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.