Pd, accordo su niente. Se Letta ora lascia ci vuole un traghettatore

Carlo Bertini La Stampa 17 novembre 2022
Pd cercasi traghettatore: Letta minaccia di dimettersi in assemblea
Spunta l’ipotesi Delrio come reggente oppure le primarie alla fine di febbraio

 

 

Il tam tam rimbomba ieri mattina in aula alla Camera: sfinito da giorni e giorni di braccio con tutte le correnti dem, di Guerini e Franceschini, di Orlando e Provenzano, sulla data delle primarie (22 gennaio, 12 febbraio – no, 12 marzo o il 26), incapaci di trovare una intesa sul congresso, pressato da chi vuole chiuderlo subito e chi vuole una lunga fase costituente, Enrico Letta ha minacciato di dimettersi. Ovvero di gettare la spugna in assemblea sabato. «Se lo fa sul serio – si sono allarmati i pezzi grossi del Pd – da statuto rimarrebbe da sola la giovane Valentina Cuppi, in quanto presidente, a reggere le sorti del partito». «Però quando un segretario si dimette – ha fatto notare qualcun altro – si può eleggere in assemblea un traghettatore fino alle primarie, come fu con Maurizio Martina o Epifani…».

Ecco, a quel punto scatta come riflesso condizionato la ricerca spasmodica di una figura che possa svolgere quel ruolo, per evitare al partito una definitiva implosione e procedere poi dopo mesi con le primarie. E comincia a girare qualche nome, il primo quello di Graziano Delrio, ex ministro e uomo forte del partito, restato nel Pd dopo l’uscita di Matteo Renzi, autonomo e autorevole nelle sue prese di posizione, non ultima quella sulla pace. Ma c’è chi butta lì anche il nome di Francesco Boccia, per il suo forte legame con il sud e con l’ossatura del partito, in quanto responsabile enti locali. Ma troppo sbilanciato sul bisogno di un’alleanza con i 5stelle per mettere d’accordo tutti. Un caos.

Nel pomeriggio, nei corridoi di Montecitorio, si assiste ad altre scene: un lungo colloquio di Andrea Orlando con Elly Schlein, («uno non si può candidare a segretario di un partito senza conoscerlo, sarebbe come se uno si proponesse di fare l’amministratore di un’azienda senza sapere cosa produce», è il pensiero dell’ex ministro, cui Schlein pare concordare, tanto da appoggiare una fase costituente vera). Con lei parla a lungo anche Peppe Provenzano, altro esponente di spicco della sinistra dem. Area interessata, per mancanza di candidati sicuri, a capire se con lei si possa costruire una prospettiva comune (qualcuno ha immaginato un ticket Orlando-Schlein).

E se sia d’accordo sulla proposta di sviluppo del congresso lanciata dal numero due del Pd Provenzano: «Si discute se anticipare le primarie, ma la vera priorità è anticipare l’inizio del congresso, non la fine. E bisogna decidersi. Se vogliamo fare seriamente la Costituente non si possono comprimere i tempi di questa prima fase di apertura all’esterno e di discussione sui nodi da sciogliere. Altrimenti si passi direttamente alla conta sui nomi: per me è una scorciatoia sbagliata, che non risolverà i nostri problemi, ma almeno ci risparmiamo le ipocrisie». Una provocazione per dire che solo la fase delle primarie può essere ristretta nei tempi: la sinistra del Pd propone di svolgere fino al 20 gennaio la fase di apertura ai nuovi ingressi – come quello di Schlein e il ritorno di Bersani e compagni – e la discussione sui nodi cruciali, lavoro, pensioni, eccetera. Per poi restringere la fase del voto degli iscritti sui vari candidati, a sole due settimane, lasciando altre due settimane per la campagna delle primarie tra i due nomi vincenti nei circoli.

Se così non fosse, anche il ritorno a casa di Speranza, D’Alema e gli ex compagni di Articolo 1 sarebbe congelato. Letta voleva dimettersi la notte del voto, ma poi lo hanno convinto ad aspettare, quindi stavolta potrebbe sciogliere il nodo gordiano, anche se è molto amareggiato e preoccupato, vuole lasciare il partito con una «transizione ordinata». Se si dimette sabato o nei giorni seguenti, si può fare una mozione per nominare un nuovo segretario-traghettatore legittimato, «ma così si perpetua la fase di stallo», fa notare un dirigente di peso. Già le capogruppo sono transeunti e in Parlamento il partito è fermo e questo a Letta non piace.

 

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