Calderoli frenato dalla Meloni e dal Sud, come previsto

Federico Capurso La Stampa 19 novembre 2022
Regioni, frenata sull’autonomia
Clima teso al vertice negli uffici di FdI, la premier invita a «procedere con calma». I governatori del Sud alzano le barricate, Calderoli: «No a richieste strumentali»

 

Niente palazzo Chigi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a sorpresa, dà appuntamento per discutere della legge sulle autonomie regionali negli uffici di Fratelli d’Italia alla Camera. Invitati alle 13, all’ultimo piano del palazzo dei gruppi: il ministro per le Autonomie Roberto Calderoli, Meloni con i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, braccio destro della premier, e il responsabile degli Affari europei, Raffaele Fitto, in collegamento da Bruxelles. Quasi un mini Consiglio dei ministri, ma in stanze assai meno prestigiose. A palazzo Chigi però ci sono dei lavori di ristrutturazione. Scelta pratica, dunque. Eppure resta addosso la sensazione che anche nel cambio di location, nel ritorno al fortino, lontano dai riflettori, si nasconda la volontà di Meloni di frenare la corsa sfrenata del “caterpillar” Calderoli.

«Procediamo con calma», ha suggerito Meloni. Meglio impostare un metodo, portare avanti di pari passo la riforma del Presidenzialismo e i poteri speciali per Roma (che dovrebbero iniziare a vedersi nel collegato alla legge di Bilancio). Soprattutto, chiede garanzie che con l’Autonomia differenziata verrà garantita l’unità nazionale. L’idea di approvare i Livelli essenziali di prestazione (Lep) dopo l’entrata in vigore della legge sulle autonomie non le piace. «Istituiamo un tavolo che li porti avanti insieme alla riforma», è stata la proposta. E anche il Parlamento, probabilmente, dovrà avere un ruolo meno marginale. Insomma, meglio fare le cose senza troppa fretta. Un metodo utile anche a ridimensionare l’impegno mediatico. Meloni vuole abbassare le tensioni ed evitare uno scontro frontale con i presidenti di Regione del Sud. E con l’occasione, spostare il riflettore dai leghisti che in queste settimane, qualunque sia l’atto in scena, si trovano sempre al centro del palcoscenico.

Calderoli fa buon viso a cattivo gioco. Accetta, anche se scalcia un po’: «Siamo il governo del fare, quindi prima facciamo meglio è – dice ai cronisti all’uscita –. L’Autonomia è un punto del nostro programma di governo e quindi intendiamo realizzarla». Aveva paura che sarebbero stati i ministeri a muovergli guerra, visto che con le autonomie gli avrebbe sottratto decine di miliardi di euro per darli alle Regioni, invece ha scoperto che il fronte più coriaceo è quello dei governatori del Mezzogiorno. E non ci sono solo i governatori del Pd, ma anche quelli degli alleati di FI e FdI. La prossima settimana Calderoli ha appuntamento con altri 6 presidenti di Regione, ma l’atteggiamento è sempre lo stesso: «Se le richieste sono legittime verranno accolte, quando sono strumentali no». Lollobrigida prova a smussare gli angoli: «Non lasceremo indietro nessuno – assicura –, si va avanti in un clima di piena condivisione».

Sarà, ma al primo segno di rallentamento, il presidente della Puglia Michele Emiliano esulta: «Il blitz della Lega per l’autonomia dei ricchi contro i meno ricchi è già stato affondato dal governo che appare diviso su tutto». Anche il simbolo di Forza Italia in Calabria, il governatore Roberto Occhiuto, chiede di rispettare la Costituzione: «I diritti vanno garantiti in maniera uniforme in tutta Italia». Per farlo, come dice la presidente dei senatori forzisti, Licia Ronzulli, servirà «una struttura politica che definisca i Lep e i costi standard, in modo che le Regioni li abbiano già pronti quando sarà finito l’iter sull’autonomia». Chiudere tutto entro ottobre 2023, come voleva Calderoli, sarà complicato

 

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