Russia e Iran aggirano le sanzioni: i droni russi con componenti iraniani e usa

Federico Rampini Corriere della Sera 19 novembre 2022
Così Russia e Iran aggirano le sanzioni: ecco perché il Pentagono è pessimista sulla guerra in Ucraina
Cosa c’è dietro il pessimismo del capo di Stato maggiore americano Mark Milley sulla guerra in Ucraina? E perché le sanzioni – per quanto indispensabili – non sono a tenuta stagna?

 

Dietro il pessimismo del Capo di Stato maggiore americano sulla guerra in Ucraina c’è una constatazione: le sanzioni economiche non sono a tenuta stagna; il Pentagono non si fa illusioni sull’impatto che hanno nell’indebolire gli arsenali di Vladimir Putin.

Questo non significa mettere in discussione le sanzioni stesse, che restano indispensabili, ma induce a valutarne i risultati con realismo.

La scoperta che la Russia sta lanciando sull’Ucraina droni iraniani fabbricati con componenti americani e giapponesi — due nazioni che sanzionano sia la Russia sia l’Iran — è un richiamo alla realtà.

Quando il generale Mark Milley, Joint Chiefs of Staff, ha evocato lo spettro di una guerra protratta per anni – e ha invitato al negoziato – aveva in mente anche questo.

Iran e Russia non sono soltanto due alleati stretti, sono anche i due casi esemplari di Stati che riescono a cavarsela sotto un regime di sanzioni economiche varate dall’Occidente. Gli ultimi eventi hanno fornito nuovi dettagli sulla loro capacità di aggirare ogni sorta di embargo. La notizia dei droni iraniani è un’amara lezione.

La Russia compra dall’Iran molti droni che utilizza per attaccare le infrastrutture ucraine. Tra questi ci sono i Mohajer-6 e Shahed-136: questi ultimi vengono chiamati droni-kamikaze perché anziché lanciare bombe si scagliano contro il bersaglio per distruggerlo.

Di recente le forze armate ucraine sono riuscite a catturare alcuni di questi droni, uno addirittura intatto. La cattura ha consentito di effettuare un’analisi dettagliata sull’apparecchio, smontandolo e analizzando la provenienza di ogni pezzo. Scoperta: su 200 componenti di un drone, la metà sono «made in Usa», un terzo sono «made in Japan».

Eppure da molti anni l’Iran è circondato da un cordone sanitario di sanzioni: alcune americane, altre decise in sede Onu e vincolanti per una vasta comunità di nazioni.

Stati Uniti, Europa, Giappone, partecipano a diversi regimi di sanzioni con l’obiettivo esplicito di impedire ogni fornitura che possa servire all’industria bellica iraniana, per costruire droni o missili o altre armi letali. Oggi molti esperti militari considerano che la capacità di Teheran di costruire missili e droni costituisce una minaccia perfino più grave dei suoi piani nucleari.

Com’è riuscito l’Iran a produrre dei droni sofisticati, pieni zeppi di tecnologie occidentali? Le risposte variano. In parte c’è il sospetto che alcune tecnologie siano cloni o copie realizzate in Cina grazie allo spionaggio industriale di Pechino ai danni dell’industria occidentale. Ma in parte sono pezzi fabbricati proprio in America, in Giappone, o in altri paesi occidentali.

Una strada classica per aggirare le sanzioni è questa: molti componenti pur essendo ad altissima tecnologia sono disponibili per l’acquisto online; vengono ordinati da intermediari, molti dei quali nel Golfo Persico, e da lì istradati illegalmente verso l’Iran. È un’operazione illecita e quando l’intelligence Usa individua questi intermediari, in genere finiscono loro stessi in una lista di soggetti sotto sanzione. Ma è una caccia infinita, una gara tra guardie e ladri che non riesce mai a debellare completamente il fenomeno.

Passando alla Russia, i dati del Fondo monetario internazionale dicono che alla fine di quest’anno il suo Pil dovrebbe scendere del 3,4%. È una recessione modesta, per una nazione che a volte descriviamo come «strangolata» dalle sanzioni occidentali. In effetti lo stesso Fmi ad aprile si era fatto un’idea diversa sull’efficacia delle sanzioni e prevedeva un crollo dell’8,5% del Pil russo. La correzione della previsione, al rialzo, sta a indicare che le sofferenze dell’economia russa sono meno gravi.

Un’occhiata al commercio estero della Russia rivela che l’isolamento è molto relativo, o addirittura inesistente. Dopo l’invasione dell’Ucraina e il varo delle prime sanzioni a fine febbraio, la Russia ha visto ridursi il suo interscambio con alcuni paesi, e aumentare quello con altri. Tra i paesi del mondo con cui l’import-export russo è aumentato in questi nove mesi ci sono ovviamente dei giganti emergenti che non partecipano alle nostre sanzioni: Cina, India, Turchia, Brasile.

Ma ci sono anche paesi europei o nostri alleati, che partecipano alle sanzioni. L’import-export russo è cresciuto dell’80% con il Belgio, del 57% con la Spagna, del 32% con l’Olanda e del 13% con il Giappone. In parte questo si spiega con il fatto che nei primi mesi post-invasione l’Europa ha continuato a comprare gas russo, anzi ha addirittura accelerato i suoi acquisti in vista dell’inverno, e lo ha fatto pagando prezzi altissimi. Negli ultimi mesi la situazione è cambiata, sia per le contro-sanzioni di Putin che hanno ridotto molto le forniture di gas, sia per il calo dei prezzi.

Ci sono altre spiegazioni oltre al gas e petrolio. La Russia è anche uno dei massimi fornitori mondiali di molte materie prime non energetiche: grano, amianto, ferro e minerali ferrosi, nickel, platino, ammoniaca, potassio, fertilizzanti, lignite, asfalto, oli di semi vari.

L’elenco è lungo, una parte di queste materie prime non sono soggette a sanzioni. E comunque anche laddove ci sono sanzioni, l’incentivo ad aggirarle è potente, in un mondo che è abituato a rifornirsi di materie prime in Russia. Non solo le economie emergenti. La Francia compra uranio russo per le sue centrali nucleari. Il Belgio si rifornisce di diamanti russi per alimentare uno dei centri più attivi del mondo nella lavorazione e commercio di pietre preziose, la città portuale di Anversa.

La previsione dominante è che il regime di sanzioni occidentali eserciterà i suoi effetti in modo graduale.

La diversificazione degli approvvigionamenti energetici da parte dei paesi europei procede in modo lento ma sicuro: sicché l’anno prossimo lo scenario per l’economia russa dovrebbe essere peggiore. Ma non sono mai esistite sanzioni a tenuta stagna, come insegna l’Iran, e non c’è ragione che questa volta sia diverso.

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