Una manovra truffaldina e anonima, Meloni abbandona l’identità sociale

Stefano Cappellini La Repubblica 19 novembre 2022
Se la destra non è più sociale
Al governo Meloni tocca il compito di ridurre le diseguaglianze, ma le prime misure vanno in un’altra direzione

 

 

Giorgia Meloni appartiene a quella frazione di destra che si è sempre fatta vanto dell’aggettivo sociale. Quell’aggiunta serviva nel secolo scorso a distinguersi dalla più classica destra conservatrice, accreditare una molto discutibile vocazione popolare e soprattutto esorcizzare il profondo complesso di inferiorità nei confronti della sinistra italiana, capace per decenni di raccogliere consensi vastissimi nei ceti popolari del Paese. Sappiamo qual è il seguito negli ultimi lustri: la fine della fiducia in una crescita globalizzata e irreversibile, uno spaventoso aumento delle diseguaglianze, la progressiva perdita di voti della sinistra nelle fasce marginali della società e del territorio e la contestuale crescita della destra populista in tutte le sue varianti, berlusconiana, grillina, leghista e ora meloniana.

Meloni, dopo molti anni trascorsi nelle retrovie del governo o nella tribuna dell’opposizione, entrambe posizioni abbastanza comode, si trova nella condizione di dimostrare quanto quell’aggettivo, “sociale”, avesse una consistenza reale o fosse solo uno dei tanti tentativi di imbellettamento della destra missina e postfascista, che non a caso ce l’aveva nel nome del partito, Movimento sociale, come la Repubblica che aveva sede a Salò. Ora è alla presidente del Consiglio che tocca il compito di ridurre le diseguaglianze, è a lei che spetta ridare fiato a chi in questi anni ha visto arretrare tutto, il potere d’acquisto, la speranza di un lavoro dignitoso e di acquistare una casa, la possibilità di dare ai propri figli un futuro migliore attraverso l’istruzione, come in Italia è stato possibile fino a non molto tempo fa.

Eppure, come spesso accade per la destra sovranista, basta grattare la superficie dorata dei propositi per scoprire che la sostanza delle azioni è composta di materiali molto meno nobili. Le anticipazioni sulla legge di bilancio, il primo vero biglietto da visita del governo, e sulle altre misure in rampa di lancio sono molto poco coerenti con la postura robinhoodiana della premier. A voler essere generosi, si può dire che le linee guida di politica sociale del governo Meloni sono confuse e controproducenti. A voler essere realisti, bisogna sostenere che sembrano tese a peggiorare squilibri e ingiustizie. È chiaro l’elenco delle misure che mancano, soprattutto a tutela del lavoro, e di quelle che purtroppo s’avanzano: si vuole depotenziare il reddito di cittadinanza senza che sia chiaro se e come sarà sostituito; si alza il tetto del contante, un chiaro favore a evasori e riciclatori, mascherando goffamente la scelta dietro propositi libertari.

Ci sentiamo di rassicurare Meloni: nei quartieri popolari delle nostre città non si avverte l’urgenza di poter saldare i conti con rotoloni cash, di cui peraltro non dispone nessuno salvo chi pratica attività solitamente descritte nel codice penale, né c’è il rischio che queste somme liquide vengano spese all’estero, come ha sostenuto con sprezzo del ridicolo più di un esponente della maggioranza. In compenso, chi i soldi all’estero li ha portati davvero, e illegalmente, a occhio non operai o rider o disoccupate, avrà una nuova occasione per sanare il malloppo. Persino una delle norme in apparenza più orientate verso le classi più svantaggiate, cioè la cancellazione delle cartelle esattoriali sotto i mille euro, è una beffa, dato che non fa alcuna differenza tra chi non ha pagato per necessità e chi per furbizia, magari confidando nella vittoria dei patrioti alle Politiche.

È chiaro che, con queste premesse, c’è un grande spazio per chi vuole organizzare un’opposizione forte e, appunto, sociale nel senso autentico della parola: orientata a dare risposte vere e giuste a chi sta peggio. Proprio ieri hanno sfilato nelle strade di molte città migliaia di studenti, magari con la giustificata ingenuità della propria età, ma anche con la non infondata convinzione che questo governo sia nemico delle opportunità e degli ultimi, sia sul fronte economico che su quello dei diritti. L’etichetta “sociale” sopra la manovra che sta prendendo forma è truffaldina come una finta griffe made in Italy. Materia buona, forse, per il neobattezzato ministero di Adolfo Urso.

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