Alla fine spunta l’accordo che salva la Cop27

Marinella Correggia il Manifesto 20 novembre 2022
Alla fine spunta l’accordo che salva la Cop27
Via libera anche al fondo per i danni da riscaldamento ai «vulnerabili». Ma nessun riferimento a un picco delle emissioni nel 2025. Niente addio alle fonti fossili… Prevista la riduzione del solo carbone. Resiste il tetto di 1,5°C di aumento della temperatura rispetto all’era preindustriale

 

«Difendete il tetto massimo di 1,5°. Approvate il Fondo per le perdite e i danni. Non deludeteci». Questo chiedevano i cartelli di un gruppo di attivisti ieri alla Cop27 sul clima. Che avrebbe dovuto concludersi già il 18 ma si è giocata in un’atmosfera di caos, sospetti e colpi di scena. Una piccola Odissea ha conosciuto in particolare il fondo internazionale per le perdite e i danni (loss and damage) imputabili al riscaldamento globale nei paesi in via di sviluppo, chiesto da tempo da G77 e Cina e fino a pochi giorni fa negato dal Nord (che lo riteneva troppo oneroso).

Stando alle reazioni alle ultime bozze in vista dell’accordo finale, il fondo è stato istituito, ma l’Unione europea l’ha avuta vinta su alcuni elementi centrali. Aveva messo paletti già giovedì, quando con una svolta aveva deciso di accettare l’idea per non rompere con il Sud. Puntualizzava il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans: «Noi possiamo accettare un fondo per le perdite e i danni, ma deve essere mirato ai paesi più vulnerabili, a chi ne ha davvero bisogno». Alla fine, ieri per non rischiare il fallimento G77 e Cina hanno accettato.

L’altra richiesta dell’Ue: «Il fondo deve essere basato su di un’analisi del mondo di oggi, dobbiamo ampliare la base di chi riempie questo fondo di soldi». Quindi non solo Ue, Usa, Giappone, Canada, Australia, ma anche paesi – soprattutto la Cina – che seguendo la suddivisione presente nella Conferenza Onu per i cambiamenti climatici – Unfcc del 1992 risultano ancora fra quelli in via di sviluppo; uno schema che secondo l’Ue va archiviato). E gli europei anche questo hanno ottenuto, anche se senza dettagli.

Soddisfatto a caldo – ma forse troppo ottimista? Dopotutto, non è chiaro come verranno circoscritti i paesi «più vulnerabili» – il capo dei negoziatori africani alla Cop27, il guineano Alpha Oumar Kaloga: «Trent’anni di pazienza. Il giorno è arrivato. È fatta. Sì, un nuovo fondo per rispondere alle perdite e ai danni nei paesi in via di sviluppo… Questo è un momento unico, una vittoria per tutti i cittadini del mondo. I capi delegazione hanno raggiunto l’accordo». Per l’ambientalista indiano Harjeet Singh, il nuovo fondo «dà speranza ai popoli vulnerabili di ottenere aiuto adeguato per riprendersi dai disastri climatici e ricostruire le loro vite».

Quanto agli altri aspetti «caldi», la bozza più recente mantiene il riferimento al tetto di 1,5°C di aumento della temperatura media rispetto all’era preindustriale, e ai rapporti dell’Ipcc (organismo scientifico intergovernativo per la valutazione dei cambiamenti climatici). L’Unione europea poneva il punto come condicio sine qua non per il suo sì al loss and damage, e in giornata aveva accusato il presidente egiziano della Cop27 di averlo ignorato in una delle bozze. Quest’ultimo spiegava che invece c’era. L’ambasciatore Alessandro Modiano, inviato speciale dell’Italia sul clima, precisava che la bozza «mantiene l’obiettivo di 1.5° formalmente ma svuota i meccanismi di monitoraggio e coordinamento concordato alla Cop26, per far sì che tutti i paesi si allineino all’obiettivo». Non chiarissimo. E Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, precisava: «Se non facciamo abbastanza per ridurre le emissioni e per tenere vivo l’obiettivo di 1,5 gradi, non ci sarà nessuna somma di denaro sul pianeta per affrontare i disastri naturali che avverranno».

Circa la purezza europea si mostrava scettico il Climate Action Network, coalizione di 1.900 gruppi in 150 paesi: «l’insistenza dell’Ue e di altri sugli 1,5°C non ha senso se i paesi ricchi continuano a investire nei combustibili fossili, permettono nuove esplorazioni, rifiutano di fare davvero la loro parte nell’azione climatica e non onorano i loro impegni per la finanza climatica a favore di una giusta transizione energetica dei paesi in via di sviluppo».

Nella bozza del documento, analizzata fra gli altri dall’Italian Climate Network, non viene invece menzionato il riferimento al picco delle emissioni globali al 2025. Quanto agli impegni climatici dei paesi, largamente insufficienti all’obiettivo di 1,5°C, come già indicato da bozze precedenti, si chiede l’aggiornamento dei piani di decarbonizzazione degli Stati (obiettivi al 2030) entro la Cop28 del 2023.

Sui combustibili fossili, si mantiene la blanda formulazione di Glasgow: riduzione (phase-down) del carbone (non di tutti come chiesto dall’India), e semplice eliminazione graduale (phase-out) dei sussidi «inefficienti». Indignati gli ambientalisti che ci vedono lo zampino dei lobbisti e dei petro-Stati. Certo, si riconosce il ruolo decisivo delle rinnovabili. Scomparso il paragrafo sui diritti umani e il diritto a un ambiente salubre presente nella bozza di due giorni fa. Compare la riduzione delle emissioni di metano, oggetto del patto Methane Pledge coinvolgente già 150 paesi.

Infine nella bozza si ammette che neanche quest’anno raggiungeranno i 100 miliardi di dollari in finanza per il clima a vantaggio dei paesi in via di sviluppo. Naturalmente. Sarebbe troppa grazia. Così come un riferimento alla necessità di un phase-down delle emissioni del settore militare, che se fosse un paese sarebbe il quinto al mondo.

 

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