Il sesso comprato e il ruolo dei media

Annalisa Cuzzocrea La Stampa 21 novembre 2022
Il sesso comprato e il ruolo dei media
Non si tratta di normalizzare l’orrore, ma di mostrarlo. Non c’è nulla di normale e nulla di giusto in quello che lo scrittore Patrizio Bati ha raccontato ieri su La Stampa.

 

Non sono normali, non dal nostro punto di vista, le sue ore in via Riboty, la sua partecipazione allo sfruttamento di una ragazza venuta da Oriente morta in modo atroce – insieme ad altre due – per mano di qualcuno che, come lui, andava in quell’appartamento per usare il suo corpo.

Si tratta – il racconto lo rende perfettamente – di donne rinchiuse dentro quattro mura, dietro persiane abbassate, chiaramente vittime di una tratta più che padrone delle loro scelte. Donne che vivono in condizioni di semi-schiavitù perché ci sono uomini che alimentano quel racket invece di denunciarlo.

Siamo netti nel giudizio perché questo giornale è stato accusato da donne che lottano contro la violenza su altre donne di aver voluto appunto normalizzare questo tipo di eventi. Di aver empatizzato con i carnefici e non con le vittime, di aver dato spazio a un racconto compiaciuto. Non è così.

Quel che è arrivato sulle nostre scrivanie sabato è un resoconto diretto, vero, duro, di cosa accadeva nell’appartamento in cui due delle tre donne sono state uccise. Parole aspre, prive di reticenza, che fanno luce sulla vita di quelle ragazze e così facendo restituiscono loro almeno un pezzo di verità.

Non sappiamo come si chiamino, forse non lo sapremo mai. Non sappiamo ancora se abbiano una famiglia che le aspetta, da qualche parte. Una madre, un padre, un figlio, un fidanzato lontano e inconsapevole.

Non sappiamo nulla e del loro privato nulla sa neanche chi frequentava quella casa perché, appunto, usava un corpo. Sappiamo però, grazie al racconto, che sono donne inseguite dalla paura. E per questo scrutano, domandano, catalogano, danno indirizzi falsi, cercano di proteggersi in una società che non si cura in alcun modo di farlo. Che anzi, preferisce fingere non esistano. Non vederle, non nominarle, non concepirle.

Risiede in questo l’importanza giornalistica del racconto di Bati ed è questo il motivo per cui è stato pubblicato. Perché getta un fascio di luce su vite nascoste che abbiamo tutti il dovere di guardare.

Non crediamo porti in alcun modo a empatizzare con chi lo scrive. Pensiamo piuttosto che susciti domande in ognuno di noi: com’è possibile che dietro apparenze tanto rispettabili si nascondano persone disposte ad alimentare lo sfruttamento di altre, per mezz’ora o un’ora di sesso? Com’è possibile che in quartieri come Prati, con i portieri al piano terra, tutti facciano finta di non vedere? Com’è possibile che un tale commercio sia così fiorente da non fermarsi neanche dopo un assassinio brutale come quello della scorsa settimana a Roma? Scegliere di mostrare la realtà non significa normalizzarla, tutt’altro. È lo scandalo di quelle vite invisibili che abbiamo raccontato. L’ingiustizia di quei corpi anonimi che un nome però lo hanno e chissà chi lo starà invocando invano adesso, oggi, magari aspettando una telefonata che non arriva. È una realtà disturbante, che preferiremmo considerare marginale, lontana. E invece no. È al centro delle nostre vite, narrata per esperienza diretta da uno scrittore conosciuto. Questo la rende più accettabile? Niente affatto. La illumina, ma senza giustificarla. È quello che un giornale cerca di fare ogni giorno con le storie che racconta, vicine o lontane che siano. È quello che abbiamo fatto pubblicando il racconto di Patrizio Bati, consapevoli della sua crudezza, ma prima di tutto della sua realtà.

 

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