Una manovra per tirare a campare

Francesco Bei La Repubblica 22 novembre 2022
Una manovra per tirare a campare
Un piano da oltre 30 miliardi, in gran parte destinati a calmierare le bollette. È la prudenza ragionieristica di chi non vuole rischiare perché non sembra avere una visione strategica su dove portare il Paese

 

 

Più Andreotti che Almirante: è la manovra del tirare a campare. Una manovra piccola piccola, abbiamo titolato. Prudente e questo è un bene, viste le promesse di grandi scostamenti di bilancio fatte in campagna elettorale e ribadite fino a pochi giorni fa. Ma non è la prudenza di Mario Draghi, di cui pure si era detto che la manovra avrebbe ricalcato l’ispirazione. È la prudenza ragionieristica di chi non vuole rischiare perché non sembra avere una visione strategica su dove portare il Paese, di chi dà pochi spiccioli in troppe direzioni perché non ha la forza di scegliere. Con l’effetto di scontentare tutti.

La gran parte delle risorse disponibili, circa due terzi dell’intera legge di bilancio, sono andate a confermare misure contro il caro-energia già previste dal governo precedente. Misura obbligata, certo, ma che riguarda soltanto imprese energivore e cittadini con Isee molto bassi. La maggioranza delle famiglie non ne avranno benefici. Un discorso analogo per lo sbandierato taglio del cuneo fiscale. Sarà una riduzione percentuale minima, quasi inavvertibile per i pochi lavoratori a basso reddito. Meglio che niente, si dirà. Ma di sicuro molto meno rispetto alle sparate su improbabili interventi d’urto da 30 miliardi di euro con cui la destra aveva riempito i social e le trasmissioni televisive prima del voto.
Quello che resta è qualche regalino ai soliti evasori, sempre coccolati.

La cancellazione delle vecchie multe, alla faccia di chi le ha pagate. La “pace fiscale” sulle cartelle esattoriali, altro sfregio a dipendenti pubblici e privati che le tasse le pagano fino all’ultimo. Per non parlare del tana libera tutti sul contante. Quello che manca è persino peggio. Come ha scritto su queste colonne Carlo Cottarelli, con l’inflazione al 12 per cento anche soltanto confermare i saldi per la sanità e l’istruzione significa operare politicamente per un pesantissimo taglio alla spesa sociale. È come se quei comparti patissero un taglio orizzontale di risorse pari all’inflazione attesa. Un massacro per la salute pubblica che ancora deve fronteggiare le lunghe liste d’attesa post-Covid. Per non parlare della scuola pubblica, dove giustamente gli studenti stanno protestando per le condizioni in cui si trovano i loro istituti.

Una Finanziaria senza ambizioni, giocata in difesa, senza nemmeno una misura o una riforma che guardi al grande tema della produttività, dove l’Italia è tra gli ultimi in Europa. Con i consumi stritolati nella pressa tra alta inflazione e caro energia, anche la mancata cancellazione dell’Iva sui beni di prima necessità è una delusione. Le uniche due misure di cui non si può che dire bene sono la riduzione sacrosanta dell’Iva sui prodotti sugli assorbenti e i 400 milioni per l’alluvione nelle Marche (alla buon’ora). Rara avis.
Un capitolo a parte merita il Reddito di cittadinanza, bandiera ideologica della destra di governo. Persino i più strenui oppositori della misura, in un momento di forte crisi sociale come quello che stiamo vivendo – e che tutti i centri studi prevedono duri a lungo – si sono convinti che il mantenimento della copertura sia necessario. Ma si capisce che Meloni non poteva arretrare anche su questo punto senza perdere la faccia. L’unica cosa su cui ha martellato per tutta la campagna elettorale è stata l’abolizione del Reddito di cittadinanza “nel primo Consiglio dei ministri” ai percettori “da divano”, ai “mantenuti di Stato”. Una decisione che alza il rischio di tensioni sociali, con Giuseppe Conte che chiama la piazza e dice che i Cinque Stelle sono “pronti a tutto” per difendere il sussidio. Non occorre tuttavia essere grillini per capire come questo stop possa impattare violentemente sulle classi meridionali più svantaggiate.
Togliere il Reddito a chi sulla carta è “occupabile” sembra, vista da lontano, una cosa di buon senso. Ma se si studia da vicino il problema, quell’aggettivo – “occupabile” – risulta un’astrazione tutta teorica. Occupabile da chi? E in quanto tempo? Chiara Saraceno, che studia da sempre questi problemi, ha scritto su Repubblica che su 300 mila persone teoricamente occupabili, prese in carico finora dal sistema pubblico di formazione, appena 9 mila sono riuscite davvero a trovare un posto di lavoro. Lasciare senza alcuna fonte di reddito almeno 600 mila famiglie, tanti sarebbero gli “occupabili”, in momento di lacerante crisi economica appare come un azzardo calcolato male. È l’apprendista stregone che tira fiammiferi dal bordo della cisterna di benzina, sperando che la fiamma si spenga durante la caduta.

 

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