Carlo Bonomi: “Una manovra senza visione, a tempo e che accontenta gli amici”

Marco Zatterin La Stampa 23 novembre 2022
Carlo Bonomi: “Una manovra senza visione, sul cuneo intervento non decisivo”
Il presidente di Confindustria: bene la finanza pubblica e il capitolo bollette. «Ma le riforme slittano e la flat tax penalizza i dipendenti creando precarietà»

 

 

Quattro mesi e poi chi lo sa. Carlo Bonomi scorre l’elenco delle misure approvate lunedì sera dal governo Meloni e subito trova la quadra del pensiero.

«È una legge di bilancio a tempo», riassume il presidente di Confindustria.

Si spiega:

«Giustamente, hanno concentrato due terzi degli interventi sul caro-energia, ma solo sino al 31 marzo. Bisognerà capire cosa succederà dopo. Oggi la legge di bilancio è prudente sui saldi, lo apprezziamo. Ma il 1° aprile cosa ci aspetta?».

Uno scherzo, forse. Meglio però sarebbe un cambiamento di rotta, lascia intendere il numero uno degli industriali, che vede un poco o nulla di fatto sul cuneo fiscale, contesta la strategia fiscale, chiede una politica industriale vere, teme un autunno/inverso di tensioni e denuncia la manifesta carenza di prospettive. Sono i tempi più difficili, ammette.

E, se non bastasse, «sulla manovra pendono tre incognite».

Quali, presidente?

«La prima è il tempo, la sua durata, cose a cui nessuno sembra pensare. Poi c’è la politica: è evidente che sono state prese decisioni per accontentare le diverse anime della maggioranza, e questo viene prima delle vere urgenze del paese. La terza è che manca di visione. Sulla lotta alla povertà, come su occupabilità e produttività».

Avranno fatto anche qualcosa di buono, no?

«Dipende. Se l’obiettivo, specialmente in una fase di rallentamento congiunturale, fosse lavorare sul pil potenziale e sulla crescita del paese, i provvedimenti dovrebbero puntare in questa direzione. Se invece l’approccio è tenere insieme le varie anime della maggioranza, prendere intanto micro-decisioni e spostare tutto avanti di tre mesi, è molto diverso. A noi imprenditori preme la prima scelta, non la seconda».

Non salva nemmeno il capitolo energia?

«Sì, è importante, come chiedevamo. Certo ci sarebbe piaciuto più un intervento alla tedesca che il credito d’imposta sui costi energetici, ma va bene. Però sono fondi che finiscono a marzo. Se ad aprile puntano a nuove misure tutte in deficit, sarebbe meglio dirlo subito».

Niente altro di soddisfacente?

«È un bene che si sia tenuta la barra dritta sulla finanza pubblica».

Lei si è detto favorevole dello scostamento come uscita di emergenza. Lo è ancora?

«Sì, non ho cambiato idea. Ma solo come extrema ratio. E spiegandolo bene in anticipo in Europa e ai mercati. Va utilizzata ogni risorsa per tamponare la crisi energetica e la perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Ma va riconfigurata la spesa pubblica e sociale. Se fatto tutto questo non dovesse bastare – e in assenza di un Next Generation Ue per l’energia –, solo allora potremmo essere costretti a più deficit. Spiegando che è l’assenza di sostegno europeo a rompere il mercato unico, avvantaggiando Paesi con più spazio fiscale come la Germania».

Come valuta la fine del reddito di cittadinanza?

«È un annuncio. Dicono che vogliono intervenire, però non evidenziano su quali politiche possano assicurare l’accesso al lavoro e la tutela sociale. Si daranno soldi ai centri pubblici per l’impiego che sono stati un fallimento? Avremo un sistema pubblico-privato? Si è preso tempo senza dire come intervenire per alzare l’occupabilità».

Positivo l’intervento sul cuneo fiscale?

«Sul cuneo non si fa un intervento decisivo».

Il governo la pensa altrimenti.

«Il mini-taglio aggiuntivo vale 46 euro lordi in più al mese ai dipendenti con meno redditi. Poco più di nulla. Serviva un taglio energico. La politica non si è assunta la responsabilità di farlo e coprirlo, ma offre nuovi forfait alle partite Iva. I soldi ci sono. La spesa pubblica supera i mille miliardi, riallocare qualche miliardo necessario a un taglio contributivo significativo non è impossibile. Se si fosse voluto incidere, si sarebbero trovati i mezzi».

Deduco che siamo lontani dalla riforma fiscale dei suoi sogni.

«Una vera riforma del fisco deve essere organica, deve comprendere Irap, Ires e Irpef, il Patent box abolito, la disciplina tributaria degli asset d’impresa. In Italia si interviene solo e sempre a margine dei tributi esistenti. Non è possibile andare avanti così. E poi non esiste la flat tax incrementale, esistono regimi forfetari ispirati dall’esigenza di rispondere a constituency elettorali. Se riduci le tasse sugli autonomi, il lavoratore dipendente che ha la stessa retribuzione paga tre volte tanto. Alcuni dipendenti iniziano a dire alle imprese che preferiscono passare alla partita Iva perché così risparmiano sulle tasse, che sul lavoro in Italia sono tra le più alte dei Paesi Ocse. Creando in questo modo anche problemi di lungo periodo per la sostenibilità Inps e alimentando il precariato».

Soldi buttati?

«L’estensione della aliquota piatta si valuta in circa 300 milioni aggiuntivi. Il conto 2023 salirebbe così a 2,5 miliardi. Avremmo potuto tagliare il cuneo fiscale di un altro punto e mezzo».

Anche la previdenza resta nel limbo.

«Le riforme sono slittate di un anno, dal reddito di cittadinanza alle pensioni. Se non ci saranno le risorse, il rinvio diventerà un “non fare”. E poi da un lato prepensioni e dall’altro offri incentivi a chi rimane. Provocatoriamente c’è davvero qualcuno che è andato in pensione con la Fornero a 67 anni? Abbiamo alternative plurime: salvaguardia degli esodati, prepensionamenti, isopensione, ape social, opzione donna, lavori usuranti. Nel 2022 l’età media di uscita sarà 61 e mezzo. Senza dimenticare che quota cento doveva portare quattro assunzioni ogni uscita. Siamo arrivati a 0,4 ogni pensionato, neanche l’effetto sostituzione».

Sarà colpa delle imprese che non assumono, no?

«No, no. Se rallenta l’economia e tu prepensioni, chi se ne va non sarà sostituito. E se riprende a correre l’economia e mancano i profili richiesti, non riesci ad assumere quelli che servono. Non è colpa nostra. Non si crea crescita e lavoro per decreto. Non è così. Una svolta per l’occupabilità richiede una visione organica che rimoduli tasse, contributi, welfare, scuola e formazione. Serve visione. Tutto cose che non leggo nella legge di bilancio. O almeno non ancora».

La manovra riattiva la società Ponte sullo Stretto. Nell’Italia affamata di infrastrutture è il giusto punto di partenza?

«Premessa: riattivare la società del ponte senza decidere qual è il progetto tecnico potrebbe generare qualche discussione. Detto questo, le infrastrutture sono necessarie».

Qualcuna più delle altre.

«È così. Da Palermo a Catania oggi ci vogliono tre ore. Abbiamo un problema sul traforo del monte Bianco, che sarà chiuso tre mesi all’anno per i prossimi 18 anni e questo impatterà sulla Valle d’Aosta e tutto il Nord Ovest ne soffrirà. Andrebbe fatto il secondo tunnel. Va anche bene il ponte, ma decidiamo come. Senza dimenticare che abbiamo urgenze vere come la Gronda e la diga foranea a Genova. Speriamo vengano affrontate con lo stesso vigore».

Salvini ha auspicato che gli stranieri, soprattutto “i geni come Elon Musk”, investano in Italia. È d’accordo?

«Se vogliamo essere attrattivi, dobbiamo fare degli interventi che rendano favorevole il clima. Non bastano certo gli incentivi. Sono favorevole, anche se non su Musk, uno che licenzia migliaia di lavoratori per e-mail non è l’investitore che vorremmo».

Paghiamo la mancanza di una politica industriale?

«Viviamo drammi industriali a cui dovremmo dare risposte, e tutti cominciano con la “I”: Ita, Ilva, Isab, Intel. Già non abbiamo un quadro di regole precise per agevolare chi investe. Diventa poi inutile se scopriamo ora che a Priolo si chiude tutto fra pochi giorni, dopo aver ignorato la questione per mesi. Sono dieci anni che inseguiamo una soluzione per l’IIva, non si è deciso se debba essere pubblica o privata, se il ciclo integrale dell’acciaio ci serve oppure no. La certezza del diritto c’è o no? In assenza delle grandi scelte, non servono gli incentivi».

Manca una strategia nazionale?

«Sono decine di anni che lo diciamo, la politica industriale per noi è lavoro e crescita. Anche Papa Francesco ha detto che la povertà si combatte creando occupazione. In Italia lavora meno del 60% di chi ha tra 15 e 64 anni e il tasso d’occupazione femminile è quattordici punti sotto la media Ue. Non vedo, nella legge di bilancio, un’anima che guardi a queste cose».

Prevede un acuirsi dei conflitti sociali?

«Mi auguro di no. Però dobbiamo dare le risposte alle ansie delle persone creando lavoro. Negli ultimi anni abbiamo duplicato la spesa sociale e raddoppiato i poveri. Vuol dire che le politiche sociali non stanno funzionando».

C’è chi immagina un inverno di proteste.

«Se annunci la riforma del reddito di cittadinanza senza dire come, è ovvio che chi vuole fomentare tensioni sociali scende in piazza».

Teme l’instabilità politica?

«Il governo ha i numeri per affrontare le difficili sfide che ci attendono, l’inflazione, la guerra, le materie prime scarse, i tassi in salita, la riforma del patto di Stabilità. Non è facile, ma l’ingovernabilità non è nell’interesse del paese».

Lei ha proposto un patto per l’Italia figlio della concertazione più larga. Il sindacato è apparso freddo.

«Una parte del sindacato lo è stata. Quella che ha pensato di ottenere di più dal rapporto diretto con governi “amici”. Invece è necessario sedersi al tavolo insieme e ragionare. Spero che il Presidente del Consiglio mantenga quanto ha ribadito anche ieri e stimoli un confronto più approfondito fra tutte le parti».

Crede che Meloni lo farà?

«Un suo tratto caratteristico è l’essere coerente e mantenere la parola».

Manca poco alla fine dell’anno. Scommettiamo sul 2023?

«La mia scommessa è che nonostante tutto e tutti, l’industria italiana ce la farà anche questa volta. I nostri imprenditori sono unici al mondo; mandano avanti le loro aziende e il paese. Senza industria non c’è l’Italia».

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.