Meloni e la sindrome dell’assedio, vera o simulata che sia.

Stefano Cappellini La Repubblica 23 novembre 2022
Meloni e la sindrome dell’assedio: la presidente ha paura delle domande?
Domanda legittima dopo il fuori programma di oggi, condito di allusioni e il solito velo di vittimismo, con cui la premier ha cercato di troncare la conferenza stampa sulla legge di bilancio

 

 

Giorgia Meloni ha un problema con l’informazione? Non ama rispondere alle domande dei giornalisti in conferenza stampa? La presidente del Consiglio sa che si tratta di un suo dovere e non di una concessione o un favore? Altre domande legittime dopo il fuori programma di oggi, condito di allusioni e il solito velo di vittimismo, con cui Meloni ha cercato di troncare la conferenza stampa sulla legge di bilancio, limitando il tempo dedicato alle domande dei cronisti.

Non una novità, peraltro, dato che anche in altre precedenti occasioni aveva lasciato pochissimo spazio alla fase del confronto, concedendo solo tre o quattro domande, lasciando solo in un caso il tempo necessario per quella fase in cui una conferenza stampa diventa degna di essere definita tale, smette cioè di essere l’equivalente di una diretta Facebook, certo più comoda e abituale, e assume il suo vero valore di spazio aperto alla verifica e all’approfondimento dei temi.

Problema di agenda o indisposizione?

Se è un problema di agenda, dato che spesso Meloni ha troncato le conferenze accampando la motivazione di appuntamenti successivi da onorare, si tratta di modulare meglio il tempo a disposizione: meno spazio ai comizi iniziali e più al confronto aperto. Se invece, e sarebbe decisamente più grave, c’è anche una indisposizione al libero esercizio dell’informazione, occorre che la presidente del Consiglio se ne faccia una ragione: il suo ruolo le impone di essere pronta e preparata a rispondere a tutte le questioni che le vengono poste. Può accadere che non lo sia, preparata, in tal caso è lecito dichiararlo e rimandare ad altre occasioni, lo hanno talvolta fatto anche i suoi predecessori. Non le è invece consentito scambiare le domande sgradite per aggressione, come quando – forse ancora troppo imbevuta dei complessi della sua formazione politica – a un cronista ha risposto: “È una vita che mi volete insegnare le cose”. Né le è consentito di lanciare allusioni (“Non eravate così coraggiosi in passato”, le è sfuggito a un certo punto) che hanno il solo effetto di testimoniare un’impreparazione alla funzione che ricopre e che, per giunta, suonano contraddittorie visto che è stata proprio lei, pur sollecitata, a non avere poi il coraggio di spiegare questa sgrammaticatura facendo almeno nomi e riferimenti concreti.

Sindrome dell’assedio

Farebbe bene anche al governo, oltre che al clima nel Paese, se Meloni si liberasse di questa sindrome dell’assedio, vera o simulata che sia. Ha vinto le elezioni, ha la piena legittimità a dispiegare il suo programma. Alla fine ha fatto la cosa giusta, fermandosi a rispondere ad altre domande, sebbene solo dopo la rivolta dei giornalisti presenti. Nel discorso di insediamento ci ha voluto persino raccontare la sua simpatia per chi scende in piazza a contestarla. Singolare che una premier a parole così ben disposta verso chi scende in piazza contro il suo governo, si riveli tanto fragile e insicura quando deve confrontarsi con delle semplici domande. La stampa non è un surrogato dell’opposizione. Meloni superi anche questo equivoco: informare i cittadini, verificare i fatti, individuare contraddizioni o punti deboli – in una espressione: controllare il potere – resta una delle funzioni primarie del giornalismo. Nei paesi democratici.

 

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