Perché la premier non può avere fretta

Simonetta Sciandivasci La Stampa 24 novembre 2022
Perché la premier non può avere fretta
Dopo appena un mese di governo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni appare (è?) provata. Nervosa, sbrigativa, stanca. Molto stanca. Innervosita dalla stanchezza: spazientita.

 

S’accommiata troppo presto, dice «devo andare», senza premettere che le dispiace, talvolta scusandosi e sempre specificando che c’è qualcosa o qualcun altro di più importante, di più urgente, di più cruciale e altisonante che richiede la sua presenza, la sua attenzione, la sua cura.

Quando liquida i giornalisti, come ha fatto durante la conferenza stampa della presentazione della legge di bilancio, sottolinea da quanto tempo sta già parlando con loro, e chiude l’inevitabile diverbio che consegue dicendo che con lei sono tutti più intransigenti – e sottintende che lo sono perché lei è di destra, la destra destra, popolare e underdog, che da massa silenziosa s’è fatta massa di governo, e tuttavia ancora pone le rimostranze di una minoranza inascoltata, svalutata, volutamente e furbescamente fraintesa. Peccato.

Peccato per la più ovvia e importante delle ragioni, e cioè che un capo di Stato, con i giornalisti, in democrazia, ha il dovere di parlare, per noioso, lungo, irritante che sia o possa essere. E peccato pure per una più sottile ma assai rilevante ragione: il tradimento di un’aspettativa riposta nel fatto che lei è una donna, e da una donna premier ci si augurava un modo nuovo di gestire il potere. Un modo che mettesse in crisi quello precedente, e lo facesse nel rispetto delle istituzioni e delle professioni che gravitano intorno alle istituzioni(complesso, ma lei è lì per stravolgere i pronostici, e questa è la sua migliore promessa).
Il motivo per cui è stato emozionante vederla suonare la campanella, giurare, stava anche in questo, soprattutto in questo: finalmente arrivava qualcuno che, per identità e storia personale, aveva tutte le carte in regola per sparigliare le regole. Per dire: così è troppo, così non ce la faccio, così non è umano, così è da cyborg, così è da maschi tossici e pure intossicati dal lavoro e dal potere e dal patriarcato e da tutto quello che ha reso impervio l’accesso in politica, non solo alle donne ma alle donne di più. Oltre che i pronostici, che sono in fondo una questione personale, Giorgia Meloni ha il mandato di rovesciare un modo di fare politica: e che lo faccia da femmina, da maschio, da neutro, non importa, ma importa che lo faccia.

È bello e giusto quando le donne sbuffano e poi urlano e mandano tutti via e dicono che hanno altro da fare, mentre sparecchiano e lavano i piatti dopo la cena di Natale, e sono arrabbiate perché nessun altro lo farà, e in fondo sono arrabbiate per secoli di incombenze, di strattonamenti, di priorità degli altri, di distanziamento forzoso dalle cose che per loro contano.

E sarebbe bello che di quelle urla Giorgia Meloni si facesse carico e portavoce, ma non a colloquio con i giornalisti durante una conferenza stampa. Non è così che si rivendica un’esasperazione dovuta a un sistema sfiancante e insopportabile, che è quello che ci aspettiamo che lei faccia. E invece no, invece ci ha mostrato soltanto un capo goffo, impaziente, iroso, inattrezzato al punto da non saper camuffare quanto disprezza il confronto.

 

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