Menditto: “Vi spiego perché il braccialetto elettronico obbligatorio è indispensabile”

Alessia Ripani La Repubblica 25 novembre 2022
25 novembre, il procuratore Menditto: “Vi spiego perché il braccialetto elettronico obbligatorio è indispensabile”
“Il governo intervenga nei suoi primi 100 giorni, la violenza sulle donne deve essere una priorità”. Francesco Menditto ha messo in piedi un ‘modello Tivoli’ per combattere la violenza di genere diventato punto di riferimento internazionale, basato sull’uso sistematico del dispositivo elettronico per proteggere le vittime; prima ed eventualmente anche dopo l’uscita dell’uomo maltrattante dal carcere

 

“Il braccialetto elettronico non è utile, è indispensabile nei casi di violenza sulle donne: va reso obbligatorio. Oggi per i giudici è facoltativo, ma il governo dovrebbe intervenire nei suoi primi 100 giorni sul tema della violenza e dei maltrattamenti perché diventi una priorità, insieme alle bollette. Ricordiamoci che ogni tre giorni muore una donna, ogni giorno decine di donne sono oggetto di maltrattamenti e stalking”.

Al procuratore di Tivoli Francesco Menditto piace sfatare le false credenze, o i pregiudizi sui quali è facile inciampare quando si parla di violenza sulle donne. La “falsa informazione” sul braccialetto elettronico che non c’è, o è difficile da applicare, è una delle prime che ha provveduto a sfatare da quando ha riorganizzato la sua procura per contrastare gli uomini maltrattanti al pari dei camorristi. Oggi il “modello Tivoli” è citato tra le buone pratiche segnalate anche dal Grevio, il gruppo di esperti internazionali che vigila sull’applicazione della Convenzione di Istanbul. E sul braccialetto elettronico per monitorare il maltrattante, prima e dopo eventualmente aver scontato la pena in carcere, Menditto insiste.

Dunque non è vero che i braccialetti elettronici non ci sono.

“I braccialetti elettronici sono stati introdotti in questo settore nel 2013, ma per farli diventare prassi è servito del tempo. Noi cominciamo a chiederlo con una certa frequenza nel 2019, ma la prima obiezione in cui mi imbatto è stata: ‘I braccialetti elettronici non si trovano, non ci sono’. Scrivo agli uffici competenti, risposta: ‘Ce ne sono tutti quelli che vuole’. Oggi cosa ci dicono i dati? Che nel 2020 ne abbiamo chiesti 15 e ce ne sono stati dati 7, nel 2021 ne abbiamo chiesti 35 e nel 60% dei casi ci sono stati dati, quest’anno, nel 2022, ne abbiamo richiesti 50-60 e ci sono stati concessi praticamente sempre. La falsa notizia è stata sfatata, ma è importante che ci sia l’attenzione del pubblico ministero nel richiederlo e del giudice nel concederlo”.

Il braccialetto elettronico è uno strumento efficace?

“È semplicemente indispensabile: ma spesso manca la conoscenza di cos’è e di come funziona. È indispensabile perché tutela effettivamente la donna ma garantisce anche l’indagato, che sapendo di essere scoperto se viola la misura tende a non commettere altri reati. Tra le misure cautelari – il carcere nei casi più gravi, o i domiciliari – il divieto di avvicinamento è quella che normalmente chiediamo per gli autori di maltrattamento e stalking. Significa che devono restare distanti dalla vittima almeno 500 metri. Senza il dispositivo deve essere la donna a denunciare ogni violazione, e così non può funzionare. Il braccialetto elettronico consiste in una cavigliera, invisibile, coperta dai pantaloni, collegata a un dispositivo che l’uomo deve portare con sé quando esce, la donna ha invece un sorta di telefonino in dotazione: quando viene rilevata una violazione scatta l’allarme alla centrale operativa di polizia e carabinieri, la donna e l’uomo vengono avvisati. Lui può allontanarsi per evitare conseguenze, e non può dire ‘non lo sapevo’; lei viene tranquillizzata perché una unità di polizia o carabinieri è già partita per controllare e intervenire. ‘Stiamo arrivando’, le diciamo. Il braccialetto è estremamente efficace perché le istituzioni intervengono automaticamente”.
La fine della legislatura ha interrotto il cammino del disegno di legge presentato da sei ministre tra cui Cartabia che tra l’altro incentivava proprio l’uso del braccialetto elettronico (ma è di ieri l’annuncio della ministra delle Pari Opportunità Eugenia Roccella per insistere con l’applicazione di questa misura, ndr).

“Diciamo subito che le leggi ci sono, devono solo essere applicate. La legge sul Codice rosso, che è stata anche tanto criticata da una parte della magistratura perché poneva un problema di risorse da dedicare al contrasto della violenza di genere, è un’ottima legge e ha introdotto modifiche normative utili ad alzare il livello di protezione delle vittime. I magistrati si sono rimboccati le maniche e fanno tutti la loro parte. Sul disegno di legge presentato, mi permetto di dire con molta enfasi, da sei ministre e decaduto per lo scioglimento delle Camere, vorrei osservare: se il tema era così rilevante ed era necessario intervenire perché non è stato fatto un decreto legge come fatto in tante altre materie, con l’immediata applicabilità e la conversione in legge entro 60 giorni? È stata un’occasione persa del precedente governo. Inoltre, il ddl presentava una serie di norme utilissime: sarebbe importante che il nuovo governo intervenisse nei primi 100 giorni, o comunque lo appuntasse tra le priorità”.

Cosa secondo lei andrebbe migliorato della legislazione attuale?

“Ci sono dei punti fondamentali che dovrebbero rientrare in una normativa da approvare quanto prima. Uno, il potere di fermo del pubblico ministero quando c’è un pericolo imminente per la vittima, perché se non c’è stato l’arresto nel momento in cui avviene il maltrattamento con l’intervento di polizia e carabinieri, il pm ha poi bisogno di qualche giorno per chiedere la misura cautelare e il giudice di qualche giorno per emetterla. Se il pm avesse il potere di fermare il maltrattante immediatamente, eviteremmo di aspettare. Secondo, il braccialetto elettronico per i giudici è facoltativo: deve diventare obbligatorio, il pm deve chiederlo e giudice è tenuto a emetterlo, salvo casi particolari e motivati. Terzo, non richiedere il consenso dell’interessato. Perché io indagato devo dare il consenso alla cavigliera quando posso dire di no? Occorre prevedere automaticamente la misura aggravata, domiciliari, carcere. Ma non ci devono essere alibi. Noi, ad esempio, pur essendo facoltativo, lo chiediamo e lo otteniamo. E di fronte all’uomo che non dà il consenso, prospettiamo immediatamente l’aggravamento con il carcere o i domiciliari, poiché riteniamo il suo ‘no’ indice di maggiore pericolosità”.

Voi chiedete il braccialetto elettronico anche dopo il carcere, nei casi in cui percepite che la donna sia ancora in pericolo.

“Sì, perché il fenomeno ha caratteristiche paragonabili a quelle della criminalità organizzata, di stampo mafioso o camorristico, fondate su omertà, violenza, e un operato che si perpetua nel tempo, anche dopo il carcere. Io mi sono occupato per anni di camorra a Napoli. Le indagini su un clan non si fermano con gli arresti, perché sai che la persona tenderà a delinquere ancora. Secondo i dati della commissione femminicidio, 85% di chi ha commesso un reato di genere è recidivo, come è per la criminalità organizzata”.

Il vostro ‘modello Tivoli’ è diventato un esempio di buone pratiche, come combattete la violenza di genere?

“Con magistrati dedicati e polizia giudiziaria altamente specializzata, impegnati solo di questa materia, in modo da velocizzare anche i processi, formazione continua. E una rete di centri antiviolenza e case rifugio sul territorio, che prima non avevamo: la donna, è importante, non va lasciata sola. Solo una donna su 10 denuncia, ma le donne che denunciano devono sapere che il procedimento è lungo, e affrontare il dibattimento non è facile. Per questo devono rivolgersi a personale preparato, capace di seguirle sia nel civile sia nel penale. Abbiamo aperto un centro ascolto con due psicologhe della Asl qui in procura per assistere le donne, rispondere ai loro bisogni e metterle in contatto con tutti i servizi sui quali possono fare affidamento. In 5 anni, da quando abbiamo riorganizzato la procura in questo modo, posso dire che le denunce sono raddoppiate, i tempi del processo si sono accorciati e le condanne sono passate dal 50 all’80%”.

Per info: Procura di Tivoli, contrasto alla violenza di genere

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