Abbandono scolastico e RdC, un approccio più serio

Chiara Saraceno La Repubblica 26 novembre 2022
La lotteria dello studio
È sicuramente opportuno, anzi doveroso, che lo Stato si preoccupi di far ottenere a chi ha abbandonato troppo precocemente la scuola un titolo di studio, e soprattutto le competenze a questo connesse, adeguato alla partecipazione al mercato del lavoro.

Ciò significa, tra l’altro, non ritenere automaticamente “occupabile” un giovane solo perché maggiorenne e in salute, ma privo, appunto, di competenze spendibili sul mercato del lavoro.

Per renderlo occupabile occorre investire nella sua formazione, e prima ancora contrastare l’atteggiamento di sfiducia, di fallimento, la sensazione che non valga la pena, che ha portato troppi giovani a lasciare precocemente la scuola o a terminarla senza aver raggiunto le competenze necessarie. I dati sull’elusione scolastica e gli abbandoni precoci, infatti, segnalano che non si tratta di ragazzi svogliati appartenenti trasversalmente a tutte le classi sociali.

Si tratta di ragazzi e ragazze che appartengono per lo più ai ceti economici più modesti, che vivono in contesti poveri di risorse, che spesso non hanno frequentato un nido e una scuola dell’infanzia a tempo pieno e neppure nella scuola dell’obbligo hanno incontrato esperienze che li motivassero, allargano i loro orizzonti troppo chiusi dalla mancanza di opportunità. Sono i perdenti della “lotteria della nascita”, per usare l’efficace e drammatica immagine utilizzata quest’anno da Save the children nell’annuale “Atlante dell’infanzia a rischio”. Una lotteria che riguarda le chances stesse di sopravvivenza infantile e le condizioni di salute e riguardano tutte le dimensioni della crescita; il contesto ambientale, i servizi, scuola inclusa, cui si ha accesso, le esperienze e opportunità educative extrascolastiche. Una lotteria che, nel nostro paese caratterizzato da forti diseguaglianze territoriali, non solo da chi, ma anche dove si nasce. Nascere e crescere nel Mezzogiorno non solo espone maggiormente al rischio di povertà. Aumenta anche la possibilità di non trovare le stesse risorse pubbliche e di contesto che ha chi, in condizione analoga, nasce e cresce nel Centro Nord.

I giovani privi di istruzione adeguata e che, anche per questo, non lavorano, che ricevono il Reddito di cittadinanza, talvolta direttamente, più spesso indirettamente in quanto figli in una famiglia povera, sono l’esito di queste esperienze e circostanze. La proposta del Ministro dell’Istruzione di togliere loro il reddito di cittadinanza se non si impegnano a tornare in formazione coglie il problema, ma non le sue cause. Come è diventato di moda, indica i giovani non adeguatamente istruiti come unici responsabili della propria condizione e pensa che basti la minaccia di togliere alla famiglia la quota di Rdc che spetterebbe loro a spronarli ad iscriversi ad un Centro provinciale di istruzione per adulti (Cpia). Purtroppo non è sempre così, o non è sufficiente.

Ed anche se si iscrivessero e frequentassero, se non adeguatamente motivati e accompagnati, rischierebbero di passare dall’abbandono esplicito a quello implicito: una frequenza senza apprendimento adeguato, come già avviene in molti casi ed è documentato dai test Invalsi e Pisa. Per recuperare all’apprendimento chi lo ha abbandonato per scoraggiamento o vera e propria espulsione occorre un grosso investimento, che veda cooperare i Cpia, il terzo settore, le imprese locali: per costruire contesti che restituiscano fiducia nelle proprie potenzialità e nella possibilità di vedersele riconoscere, che motivino non con le minacce, ma con l’offerta di opportunità di apprendimento e relazionali ricche di senso. Poi, certo, occorre che alla fine del percorso un lavoro buono ci sia davvero.

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