Chiara Saraceno: “Opzione donna norma maschilista e inutile, gli assegni – 30%”

Francesca Del Vecchio La Stampa 26 novembre 2022
Chiara Saraceno: “Opzione donna resta una norma maschilista e inutile, gli assegni sono più bassi del 30%”
La proposta della sociologa: un anno di versamenti in più ogni volta che nasce un figlio

 

«Non è incoraggiando le donne a uscire prima dal mondo del lavoro che lo Stato riconosce il “ruolo di cura”. Anzi, le donne otterranno una pensione misera e un carico di cura maggiore». La sociologa e filosofa Chiara Saraceno, già consulente del governo Draghi per la riforma del Reddito di cittadinanza, è da sempre contraria a “Opzione donna”, misura introdotta nel 2004 dal secondo governo Berlusconi e rimodulata dall’esecutivo Meloni nella Legge di Bilancio in corso di approvazione.

Professoressa Saraceno, qual è l’aspetto più critico di questo provvedimento?
«Sono sempre stata molto critica su “Opzione donna”. Si consente alle donne di andare in pensione prima ma in modo penalizzante, perdendo il 30% della pensione. È un modo apparentemente “dalla parte delle donne” ma che in realtà si basa sull’idea che, uscite dal mondo del lavoro, queste vadano a casa a fare le nonne o le caregiver dei mariti o di un genitore fragile: il tutto a loro spese».

C’era l’idea di anticipare il pensionamento femminile in presenza di uno o più figli: la convince?
«Il punto centrale è riconoscere il lavoro di cura. Io sarei assolutamente d’accordo ad aumentare i contributi figurativi alla nascita di un figlio. Ma non ha senso farlo a posteriori, alla fine della carriera. In Germania, per esempio, per ogni nato viene corrisposto l’equivalente contributivo di un anno. In Italia, per arrivare a un anno di contributi figurativi servono quattro figli. Se prendessimo esempio, potremmo riconoscere una quota più alta di contributi figurativi arricchendo le pensioni e l’anzianità contributiva. La proposta del governo è che per ogni figlio si “sconti” un anno di lavoro: mi sembra che non sia il modo giusto per riconoscere il lavoro di cura in termini di contributo pensionistico. Se davvero si vuole riconoscere il lavoro di cura, allora si arricchisca la quota di contributi figurativi».

Anche Quota 100 o 103 permettono di andare in pensione anticipatamente. C’è differenza?
«Assolutamente sì: innanzitutto, di Quota 100 e 103 spesso sono beneficiari uomini che hanno una buona carriera e una buona pensione. Inoltre, trovo iniquo che Quota 100 sia accessibile a chi può permetterselo mentre “Opzione donna” sia calcolata solo sul sistema contributivo. Detto questo, è proprio sbagliato il nome dato alla misura: se serve per agevolare chi si fa carico di un ruolo di cura particolarmente gravoso, allora dovrebbe chiamarsi “Opzione” e basta. Un padre vedovo non ha diritto a un riconoscimento? »

Professoressa, questa proposta di legare l’”Opzione donna” alla presenza dei figli non è maschilista?
«Lo è. Si dà per scontato che il ruolo di cura spetti esclusivamente alla donna. Sarebbe più utile investire in strutture, servizi, e congedi genitoriali pagati. Ma erogare un contributo alla fine della carriera è inutile e insensato. Ricordo che quando Renzi, da presidente del Consiglio, rinnovò “Opzione donna” dicendo “le nonne si sarebbero potute godere i nipotini”, mi arrabbiai molto: innanzitutto perché diciamo “godersi i nipoti” ma sappiamo che vuol dire accudirli. Ma poi, chi dice che anche i nonni non possano godersi i nipoti. Poi, sappiamo che è inutile fingere un egualitarismo che non c’è: in Germania il riconoscimento dei contributi figurativi viene dato alle madri perché si sa che, soprattutto nel primo anno se si tiene conto della gravidanza, la maggior parte del carico “tocca” alle donne».

A proposito di congedi, la premier aveva annunciato l’aggiunta di una mensilità definendola “un salvadanaio di tempo per le mamme”. Cosa ne pensa?
«Che fosse un errore, tant’è che nella norma non è specificato. Ma il fatto che l’abbia detto dà la misura di quale sia il contesto. Sono dell’idea che la scelta di usufruire di un congedo parentale debba essere una prerogativa di entrambe le figure genitoriali. Non solo delle madri».

Il governo eliminerà questa misura per paura dell’incostituzionalità?
«Di certo è discriminatoria. Si tratta di una scelta che creerebbe, come già accaduto in passato, nuove categorie e diseguaglianze. È un salto indietro a prima della riforma Dini, quando le dipendenti statali potevano andare in pensione anticipatamente se coniugate oppure se non coniugate ma con figli. Credo che il compito del sistema pensionistico sia quello di riconoscere il contributo che un individuo dà. Non di decidere se una scelta di vita è più pregevole di un’altra».

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.