Andrea Agnelli, figlio di Umberto, stavolta il pallone non è il suo

Daniele Lo Monaco il Romanista 30 novembre 2022
L’inconscio sogno di emulare il babbo
Quella di Moggi, Bettega, Giraudo, i tre uomini operativi scelti dal papà di Andrea Agnelli, Umberto, fu, e resta, un’impresa imbattibile. Ma in qualche modo il pargolo voleva emulare il genitore

 

Non serve evocare Calciopoli, né prendere quell’inchiesta come metro di paragone. Quella di Moggi, Bettega, Giraudo, i tre uomini operativi del papà di Andrea Agnelli, Umberto, fu, e resta, un’impresa imbattibile: assoggettare l’intero movimento calcistico italiano e gestirlo a proprio uso e consumo. In questo, va detto, sono stati dei fuoriclasse che al confronto il pargolo, per quanto figlio d’arte, è un dilettante allo sbaraglio. Ma buon sangue non mente, questo è chiaro. E se si vuole trovare un elemento di continuità non serve neanche fare uno sforzo esagerato.

Nel regno sabaudo, se qualcosa non va dritto piuttosto si devia il corso della storia. Ad ogni costo. Le partite non si vincono? Si fidelizzano gli arbitri. I giocatori non vengono? Si apre un’agenzia di procuratori. I giornalisti non sono compiacenti? Si comprano. La federazione è ostile? Si occupa. I muscoli non reggono? Si pompano. I conti non tornano? Si aggiustano. E il bello, anzi il brutto, è che la maggior parte dei tifosi (e non solo bianconeri, purtroppo) non sta troppo a sottilizzare: non chiedete ai parigini o ai mancuniani di approfondire le questioni finanziarie di Al-Khelaïfi o Mansour, ma chiedete a tutti gli altri se non abbiano voglia di trovarsi al loro posto. Così come all’epoca, nel 2018, non si trovava neanche col lanternino qualcuno disposto a mettere in discussione l’acquisto di Cristiano Ronaldo sotto il profilo finanziario. E chi provava ad obiettare qualcosa, veniva subito zittito con la più grossa delle fandonie: «Si ripaga da solo con le magliette vendute».

Oggi è invece chiaro a tutti che Agnelli con quell’operazione ha commesso un errore gravissimo sia sotto il profilo sportivo (perché non ha vinto niente di più di quanto non fosse già a portata e soprattutto non ha potuto investire laddove era invece necessario) sia sotto il profilo economico-finanziario (perché da quell’esercizio il club è entrato in una spirale negativa da cui è stato impossibile uscire).

E per (provare a) porre rimedio al peccato originale si è fatto di peggio, con quella contabilità creativa da brividi, quelle plusvalenze ridicole (Diego Armando Mandragora titolò Il Romanista, abbaiando nel deserto) fino alla comica trovata della SuperLega, versione moderna del bambino antipatico e arrogante che si porta il pallone per scegliersi i compagni: ma la cosa bella e insostituibile è che a calcio gioca chi merita, non chi porta il pallone. Va capito Andrea, del resto: farsi un campionato tutto suo, facendo magari pure il presidente della Lega e della Federazione, gestendone i diritti tv, magari pure gli arbitri e, già che c’era, i giornalisti, in fondo era il suo sogno non dichiarato. Avrebbe provato a fare come papà. Fino alla Finanza.

 

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