La manovra più miope

Walter Galbiati La Repubblica 30 novembre 2022
La manovra più miope
Il piano finanziario del governo. Una manovra senza una visione, semplicemente un calcio a un barattolo di latta per spingere il problema un po’ più in là senza risolverlo.

 

Così è stato per gli interventi sull’energia, che rimandano il problema ad aprile, sperando in un inverno mite e nell’abbassamento del prezzo del gas. Ed è stato così per gli altri provvedimenti che non risolvono i problemi sul tavolo, come quello della pressione fiscale sui lavoratori, ma che addirittura ne creano altri come l’annunciata abolizione del Reddito di cittadinanza, che va colpire la parte più debole degli italiani, già provata da una crisi innescata con la pandemia e acuitasi con la guerra e la crescita dell’inflazione.

Il governo non si è espresso su quali saranno le politiche in grado di assicurare l’accesso al lavoro degli “occupabili” e nemmeno su quali saranno gli strumenti capaci di garantire chi non potrà comunque trovare un impiego, ma ha già deciso che nel 2024 il Reddito sarà abolito e nel 2023 esteso per soli otto mesi agli occupabili, ovvero per chi, secondo la Bibbia di Fratelli d’Italia, non vive in famiglie con componenti disabili, minori o ultra 60enni. Per non creare problemi, si doveva lasciare il Reddito di cittadinanza e nel frattempo studiare una riforma: l’Italia conta 5,6 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, il 9,4% della popolazione, uno dei tassi peggiori in Europa. E negli ultimi anni il Reddito di cittadinanza ha evitato la povertà a circa un milione di persone.

Serviva una visione capace di combattere le diseguaglianze e di impostare politiche industriali in grado di traghettare l’Italia fuori dalle secche di un rallentamento che il prossimo anno, nelle migliori ipotesi — quelle del governo — vedrà il Pil crescere dello 0,6%, una stima tra le più ottimistiche in circolazione, perché il segno meno e la recessione sono dietro l’angolo.
La manovra si è persa in mille rivoli clientelari, ignorando anche quel ceto medio che costituisce l’ossatura del Paese. Qui si poteva investire su un taglio del cuneo fiscale più ampio, più coraggioso per mettere nelle tasche dei lavoratori dipendenti qualche soldo in più in grado di attutire l’erosione del potere d’acquisto dovuto al carovita. Invece si è preferito introdurre l’aliquota piatta per autonomi e partite Iva per inseguire le proprie promesse elettorali. O strizzare l’occhio agli evasori, nonostante i moniti del presidente Sergio Mattarella.

Non si è scelto nemmeno di aiutare le imprese con misure più appropriate. Sull’energia si sono tolti gli oneri di sistema, ma il prossimo anno torneranno e si èdeciso di concedere i crediti di imposta nella speranza che le imprese abbiano bilanci tanto capienti da poterli scontare invece di applicare, come è stato fatto in Germania, un prezzo calmierato al gas e all’energia bloccato fino al 70% della fornitura. Si poteva anche scommettere sulla transizione energetica concedendo alle piccole e medie imprese, le più colpite dal caro bollette e dal rialzo dei tassi di interesse, sconti fiscali e agevolazioni autorizzative, come il silenzio assen so, per l’installazione di fonti di energia rinnovabili.

Serviva una visione, una politica industriale in grado di scegliere su quali settori investire. La pandemia prima e la guerra poi hanno messo in luce le carenze della filiera produttiva delle nostre aziende in molti settori, dalla tecnologia (la mancanza di chip) all’alimentare (la carenza di grano), dalla farmaceutica (la dipendenza dall’estero per i principi attivi) al fotovoltaico (l’assenza di brevetti).

E la mancanza di politica industriale è ancora più evidente nelle tre grandi partite societarie che il governo deve giocare: Tim, Ita e Ilva. È vero che sono patate bollenti che i governi si sono passati di mandato in mandato. Ma è ora di decidere cosa fare. L’Italia vuole una rete telefonica pubblica per creare una moderna e capillare infrastruttura a banda larga in grado di supportare lo sviluppo digitale del Paese oppure no? L’Italia, uno dei Paesi più ricchi al mondo per bellezze naturali e artistiche, vuole un efficiente vettore nazionale in grado di supportare il turismo oppure no? L’Italia è interessata ad avere sul proprio territorio la gestione del ciclo integrale dell’acciaio oppure no? Insomma l’Italia ha una politica industriale oppure no?

 

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