Meloni teme i blitz degli alleati: “Niente scherzi sulla finanziaria”

Ilario Lombardo E Francesco Olivo La Stampa 30 novembre 2022
Meloni teme i blitz degli alleati: “Niente scherzi sulla finanziaria”
Gelo di Forza Italia dopo l’incontro della premier con Calenda. Le leader ai centristi: «Punti in comune, ma scordatevi il Mes»

Un’ora e mezza con l’opposizione e un’ora e mezza con la maggioranza. La giornata di Giorgia Meloni si divide in due momenti, con la manovra al centro del tavolo e scenari futuri che agitano lo sfondo. La delegazione del Terzo Polo viene ricevuta a Palazzo Chigi con tutti gli onori: al tavolo i big del governo, i ministri Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso con i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari. Poi nel pomeriggio nella sede del governo arrivano i capigruppo di maggioranza, con i quali non si entra nei dossier specifici della finanziaria, ma sul tema che più preoccupa la premier: i tempi. Il messaggio consegnato agli alleati è: «Concordiamo gli emendamenti», un modo per evitare sorprese e blitz in Parlamento che possano ostacolare il percorso della legge da approvare entro il 31 dicembre, «anche a costo di lavorare a Natale a alla vigilia», sentenzia la premier.

Un elemento di tensione, però, lo inserisce l’incontro della tarda mattinata. Le parole di Carlo Calenda, appena uscito dalla riunione, lo dimostrano: «Meloni è preparatissima, Forza Italia deve contribuire a fare la manovra non a sabotarla». La sintonia tra il capo di Azione e la leader di FdI stride con gli insulti che volano tra i centristi e gli azzurri: «Non accettiamo lezioni da chi ha perso le elezioni ed è destinato all’irrilevanza politica», attaccano i capigruppo di FI Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo.

Ma tra centristi e Meloni non è stato solo un idillio a favore di telecamere. Quando gli esponenti di Azione e di Italia Viva pongono a Meloni la questione del Mes, la risposta – con il sorriso – non lascia margini: «Su questo le nostre posizioni restano inconciliabili». Per la premier sarebbe un clamoroso voltafaccia, dopo anni all’opposizione in cui ha definito il Meccanismo europeo di stabilità uno strumento di commissariamento dell’Italia. Un conto è ratificare per via parlamentare la riforma delle regole del fondo salva-Stati, creato per la zona euro, come a Bruxelles ha promesso di fare Giorgetti, un altro è attivare il meccanismo che prevede 37 miliardi da destinare alla sanità. L’Italia sarebbe il primo Paese a farlo. Parlare di Mes, a detta di Matteo Renzi (assente all’incontro), doveva servire, perlopiù, a far emergere le contraddizioni della premier. I centristi mettono sul tavolo anche tutta un’altra serie di proposte. Su quattro punti, in particolare, notano un’apertura, che Meloni manifesta prendendo continuamente appunti: «Su Industria 4. 0, sul ritorno del Rei, sugli incentivi per le assunzioni sotto i 30 anni, e sul ripristino di Italia sicura, l’unità di missione contro il dissesto idrogeologico che era stata smantellata da Giuseppe Conte», spiega Raffaella Paita, capogruppo del Terzo Polo in Senato. Il Rei, soprattutto: il reddito di inclusione mandato in soffitta dal Reddito di cittadinanza è un modello a cui starebbe pensando Meloni per il 2024, quando dovrà chiarire come intenda sostituire il sussidio ideato dai grillini. «La premier si è accorta che la sua maggioranza non è all’altezza, hanno poche idee e per questo sono incuriositi dalle nostre. Ma sia chiaro: noi voteremo contro questa manovra». Il Terzo Polo non farà la stampella di Meloni, nel caso in cui FI dovesse sfilarsi. È uno scenario a cui non crede nessuno, nemmeno tra i berlusconiani («non hanno i numeri e Meloni non sarebbe più la “signora coerenza”» dice un parlamentare di lungo corso). Ma a entrambi, a Calenda come alla premier, è funzionale questo corteggiamento. Nelle parole e negli atteggiamenti di Meloni i centristi intravedono chiaramente il fastidio per i distinguo quotidiani dei forzisti, e dunque nel gioco delle parti sanno che la presidente del Consiglio potrebbe voler sfruttare a suo favore la competizione tra FI e Terzo Polo.

Ma c’è un altro elemento che può comportare ritardi: alle modifiche del Parlamento sono stati destinati “soltanto” 400 milioni di euro. Una cifra più esigua rispetto al passato (600 milioni l’anno scorso), che non lascia molti margini per gli interventi – le cosiddette “mancette” – di deputati e senatori. Altro fattore che sta innervosendo gli alleati

 

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