Dalle classi pollaio alle scuole da chiudere. Sono tornati i tagli (magari per i bonus nozze)

Chiara Saraceno La Stampa 2 dicembre 2022
Se la demografia è solo una scusa
Nessuno mette in dubbio che siamo di fronte ad un calo demografico di vaste proporzioni, che coinvolgerà nei prossimi anni progressivamente tutte le coorti di età che costituiscono la popolazione di alunni potenziali dei vari ordini di scuola.

 

 

Un fenomeno di cui ci si lamenta periodicamente, e che sta in cima all’agenda simbolica di questo governo, che ha persino aggiunto il termine “natalità” al ministero della famiglia e delle pari opportunità, tanto per non lasciare dubbi in proposito, ma che costituisce invece un irresistibile motivo per operare tagli alla scuola, da quella per l’infanzia in su, per ogni ministro che si trovi ad essere responsabile dell’istruzione. Era già avvenuto con il Governo Draghi e il Ministro Bianchi, sollevando le proteste non solo degli insegnanti, timorosi che il taglio sarebbe giunto fino a loro, ma anche di molti genitori, studenti e di associazioni che lavorano nella e con la scuola.

Ora è arrivato il neo-ministro Valditara a farsi promotore di un taglio massiccio: si parla della chiusura di 700 scuole, vuoi tout court, vuoi per accorpamento con altre, per creare plessi con almeno 900 studenti. Fare automaticamente del calo demografico la ragione di un taglio massiccio di classi e di intere scuole, tuttavia presupporrebbe che la scuola italiana goda di buona, se non ottima, salute per quanto riguarda non solo gli organici, ma gli spazi, i laboratori, le palestre, le biblioteche, il rapporto numerico studenti-docenti e quello dirigenza-docenti-studenti, la stessa accessibilità delle scuole nelle zone più periferiche.

Una presunzione lungi dall’essere fondata in moltissimi contesti, come dimostrato durante la pandemia, quando la necessità del distanziamento ha reso visibile quanto fossero affollate troppe classi e quanto mancassero, in molte scuole, spazi diversi dall’aula tradizionale. Prima di riempire alcune scuole, svuotandone altre, per raggiungere il numero di 900 studenti per scuola, sarebbe meglio verificare se le aule eventualmente in esubero non possano essere riconvertire in laboratori e in biblioteche accessibili (magari anche alla comunità locale) e funzionanti, in locali che possano essere utilizzati anche per attività extra-curriculari con la collaborazione di soggetti esterni, specie là dove queste opportunità mancano.

Simmetricamente, il trasferimento di studenti da una scuola all’altra non deve comportare per quella che li accoglie una riduzione degli spazi disponibili per una buona e ricca didattica. Se è vero che le classi pollaio non solo la norma, tuttavia continuano ad esserci, soprattutto nelle prime classi degli istituti professionali, ove sembra vigere la presunzione che si sfoltiranno nel prosieguo degli anni, a causa di abbandoni e bocciature. Una profezia che puntualmente si avvera, non a caso, trasformando l’effetto di una mala gestione in una scusa per continuarla. Per altro, anche il numero standard di 27 studenti per classe sembra eccessivo, se si auspica una didattica più dinamica e coinvolgente, non univocamente trasmissiva. Si aggiunga che, come documentato dall’ultimo Atlante dell’infanzia a rischio di Save the children, non solo in molte scuole mancano i laboratori e la palestra e solo la metà dei bambini della scuola primaria ha accesso alla mensa, con enormi differenze territoriali.

Anche dove la mensa c’è in diversi casi non c’è il locale mensa, o non è sufficientemente ampio, costringendo molti bambini vuoi a mangiare al loro banco, vuoi a ruotare a ritmo velocissimo per consentire l’avvicendamento di due o tre turni – con buona pace dell’educazione alimentare e del pasto come occasione di socialità e apprendimento allo stare insieme a tavola. Il Pnrr, con i fondi stanziati per mense, palestre e laboratori va in direzione opposta all’affollamento. Infine, andrebbe valutato, ascoltando in primis i dirigenti scolastici, se la concentrazione spaziale di masse di studenti sia davvero efficace sul piano anche solo del controllo e della sicurezza, oltre a consentire al/alla dirigente di avere davvero il polso la situazione, del clima della scuola, della situazione degli insegnanti e delle varie classi. È una questione, per altro, che si pone anche oggi quando un/una dirigente ha la responsabilità di più plessi.

Il trade-off tra risparmi sui costi di gestione degli edifici e qualità del contesto, anche spaziale e organizzativo, degli apprendimenti vale davvero la pena? Non nego l’opportunità di valutare la chiusura di alcune scuole alla luce del calo demografico e quale sia la dimensione minima e massima che consente la governance più efficiente ed efficace. Ma credo che questa valutazione non possa avvenire solo in base a proiezioni demografiche e richieda invece un accurato esame di ciò di cui la scuola ha bisogno, in che cosa deve migliorare, anche sul piano della disponibilità di spazi e della loro organizzazione, oltre che, naturalmente e soprattutto nelle modalità didattiche, per garantire buoni contesti di apprendimento. Il calo demografico può essere un’occasione riorientare le risorse in direzione di un forte miglioramento della scuola, a livello spaziale e didattico.

 

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