Paolo Baroni La Stampa 2 dicembre 2022
Fisco, la stangata sul ceto medio: da soli 5 milioni di italiani pagano il 60% dell’Irpef e ricevono meno servizi
La ricerca di Itinerari previdenziali: la borghesia è la più penalizzata, chi evade ha più prestazioni e bonus
Ci sono 5 milioni di italiani che pagando le tasse si caricano sulle spalle lo Stato. Hanno redditi superiori a 35 mila euro lordi l’anno, sono appena il 13% della platea totale dei contribuenti ma pagano in complesso il 59,95% dell’Irpef. Su 59.641.488 cittadini residenti in Italia all’1 gennaio 2020 – segnala la nona indagine conoscitiva su spesa pubblica ed entrate realizzata da Cida e Itinerari previdenziali presentata ieri al Cnel – sono stati in tutto 41.180.529 quelli che hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2021. A versare almeno 1 euro di Irpef sono stati però solo 30.327. 388 residenti, vale a dire poco più della metà degli italiani, e soprattutto il valore più basso dal 2008 ad oggi.
Il 79,2% degli italiani dichiara redditi fino a 29 mila euro e corrisponde solo il 27,57% di tutta l’Irpef, e quindi un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di welfare del Paese. Nel 2020 sono stati infatti necessari 122,72 miliardi per la spesa sanitaria, 144,76 per l’assistenza sociale e altri 11,3 per il welfare degli enti locali. Un conto totale di 278,78 miliardi che viene finanziato attingendo fiscalità generale.
Il totale dei redditi dichiarati nel 2021 ai fini Irpef è ammontato a 865,07 miliardi, con un gettito di 164, 36 miliardi (147,38 per l’Irpef ordinaria; 11,99 per l’addizionale regionale e 4,99 per l’addizionale comunale), in calo del 4,75% rispetto al 2019.
«C’è una differenza tra le classi – spiega il presidente del Centro studi Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla – troppo marcata e destinata ad acuirsi per effetto dei recenti provvedimenti che aumentano importo e platea dei destinatari di bonus e agevolazioni varie. Giusto aiutare chi ha bisogno ma i nostri decisori politici tendono a trascurare come queste percentuali dipendano in buona parte da economia sommersa, evasione fiscale e assenza di controlli adeguati, per le quali primeggiamo in Europa: è davvero credibile che oltre la metà degli italiani viva con meno di 10 mila euro lordi l’anno».
Tra i falsi miti sfatati dalla ricerca c’è di riflesso anche quello dell’oppressione fiscale, che vuole (tutti) i cittadini tartassati dal fisco e penalizzati delle eccessive imposte. Solo per pagare la spesa sanitaria, per i primi 2 scaglioni di reddito fino a 15 mila euro, la differenza tra l’Irpef versata e il costo della sanità ammonta a 51,817 miliardi, differenza che sale a 58,2 miliardi sommando i redditi da 15 a 20 mila euro.
Considerando anche spesa assistenziale e welfare degli enti locali, la redistribuzione totale è pari a 219 miliardi su circa 555 di entrate, al netto dei contributi sociali. In pratica, viene redistribuito il 40% di tutte le entrate e quasi il 100% delle imposte dirette, che va totalmente a beneficio del 58% di popolazione (corrispondente a quanti dichiarano fino 20 mila euro) e, in parte, al restante 28,96% (corrispondente ai dichiaranti tra 20 e 35 mila euro). Poco nulla invece al 12,99% dei paganti. «Un costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti di cui quest’enorme platea di beneficiari non si rende neppure conto – previsa Brambilla – davanti alle ripetute promesse di nuove elargizioni da parte della politica e alla continua minaccia di abolizione delle tax expenditures per i redditi sopra i 35 mila euro trascurati persino dal virtuoso governo Draghi». Redditi, peraltro lordi, e non certo da «ricchi», spiega l’esperto, che scontano però l’italico paradosso secondo il quale più tasse si pagano e meno servizi si ricevono: una progressività «occulta e pericolosa» viene definita, che «penalizza quanti contribuiscono regolarmente e incentiva i cittadini a evadere o dichiarare meno così da non rinunciare a prestazioni sociali e agevolazioni».
Per il presidente della Confederazione dei dirigenti d’azienda Stefano Cuzzilla «siamo ormai di fronte a paradossi inaccettabili. I nostri dati descrivono una società in cui le retribuzioni non crescono e sempre meno lavoratori sostengono il peso crescente della pressione fiscale. Il fatto che i lavoratori con redditi superiori a 35 mila euro lordi siano appena il 13% apre a un’unica alternativa: o stiamo scivolando verso un impoverimento generale non adeguato a una potenza industriale oppure in questo Paese c’è un sommerso enorme. Di fatto, stiamo continuando a favorire gli evasori». Col risultato di danneggiare che onestamente continua a contribuire al welfare e alla solidità dei conti pubblici e che, negli ultimi decenni, è stato costantemente penalizzato da blocchi della perequazione, rivalutazioni parziali e contributi di solidarietà, perdendo potere d’acquisto. «E dopo il danno, c’è anche la beffa – conclude Cuzzilla – per chi dalla manovra vedrà tagliato l’adeguamento della pensione e poi non potrà accedere, dato il tetto previsto, a Quota 103 che è finanziata proprio da quei tagli».