Antonio Zucaro il Manifesto 3 dicembre 2022
Al pentolone delle destre manca qualche coperchio
La contraddizione tra autonomia regionale e presidenzialismo è uno scambio ineguale sia sui tempi sia sulle probabilità di realizzazione delle due contro riforme. Se andassero in porto nel giro di una generazione l’Italia si trasformerebbe in una confederazione di comunità territoriali tenute insieme da uno Stato autoritario
Il progetto di autonomia differenziata presentato da Calderoli ha prodotto reazioni delle Regioni del Sud e anche del Quirinale, per la previsione di assegnare alle Regioni le risorse necessarie allo svolgimento delle nuove funzioni sulla base della “spesa storica”.
Una spesa già sostenuta per quelle funzioni dallo Stato nei rispettivi territori, dando di meno al Sud in attesa di definire i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da garantire in tutto il Paese, coi relativi costi standard.
A seguito di queste reazioni nella legge di bilancio è stata inserita l’istituzione di una “cabina di regia” presieduta da Calderoli, per individuare “le prestazioni sociali di natura fondamentale” da fissare con successivo Dpcm entro un anno, in modo da garantire adeguate risorse e prestazioni al Sud. Tuttavia per i Lep la Costituzione prevede una legge ordinaria, che non si fa da vent’anni per l’estrema complessità politica e tecnica della partita. Si vedrà come verrà adeguata al riguardo la bozza Calderoli.
In realtà, questo pasticcio fa emergere nella maggioranza una contraddizione sull’abbinamento con il semipresidenzialismo, sotto la quale ve ne è un’altra più seria, di carattere politico-ideologico. Il collegamento tra la riforma costituzionale presidenzialista voluta dai postfascisti e l’autonomia differenziata, bandiera della Lega, è uno scambio ineguale sia sui tempi sia sulle probabilità di realizzazione delle due “riforme”.
Per l’autonomia differenziata, infatti, è sufficiente la legge ordinaria per dare il via all’esecuzione degli accordi già stipulati con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, oltre che alla stipulazione degli accordi con le altre Regioni. Obiettivo realizzabile entro pochi mesi, mentre il semipresidenzialismo necessita di tempi ben più lunghi, perché richiede una elaborazione importante sul piano tecnico e politico, cui dovrà seguire l’iter della doppia lettura in entrambe le Camere. Infine vi sarà un referendum popolare se in Parlamento non si raggiungerà la maggioranza dei due terzi. Ci vorranno anni, e non è certo che si realizzi.
FdI, perciò, concede il certo a tempi brevi in cambio dell’incerto a tempi lunghi. Di qui la linea di mantenere un allineamento temporale delle due “riforme”, e la scelta di condizionare l’autonomia differenziata alla fissazione dei Lep e dei costi standard. Ovvero, allungarne i tempi e rendere più incerto l’esito. In ogni caso, oltre al contrasto sulle risorse viene in evidenza una contraddizione di ordine politico-ideologico.
Entrambe le destre, FdI e Lega, centrano il loro messaggio sull’affermazione di una “identità” collettiva, per dare sicurezza di sé ai frammenti di popolo spaventati e colpiti dalla crisi. Per i postfascisti, tuttavia, l’identità è quella nazionale, difesa da uno Stato forte e articolata in un insieme di disuguaglianze tra categorie e gruppi, in grado di difendere efficacemente gli interessi del grande capitale, evitando confronti in Parlamento e conflitti sociali.
Nel cuore della Lega, a parte il Salvini di “prima gli italiani”, l’identità è quella nordista, difesa dai presidenti delle Regioni più ricche. Lo vogliono le strutture di potere colleganti gli interessi forti, le burocrazie regionali, le cordate politiche del governo locale, che moltiplicherebbero le risorse a loro disposizione e estenderebbero il loro potere regolativo a quasi tutte le funzioni pubbliche emanando leggi, ovvero norme sovrane che creano diritti, doveri, poteri. La disarticolazione della struttura economica del Paese, già in atto nei settori privati, si estenderebbe ai grandi servizi pubblici, e con la regionalizzazione dell’istruzione vi si aggiungerebbe la frammentazione della sovrastruttura culturale.
Nel giro di una generazione l’Italia si trasformerebbe in una confederazione di comunità territoriali tenute insieme da uno Stato autoritario limitato alle funzioni de puissance, ovvero Esteri, Difesa, Interni, Giustizia, senza competenze sulle funzioni economiche, sociali, culturali, abbandonate ai mercati finanziari, alle aziende private e alle strutture del potere regionale.
Questo brutto compromesso tra l’identità nazionale propria di FdI e l’identità regionale nordista della Lega si può realizzare rinunciando all’assolutezza delle rispettive affermazioni identitarie. Sul piano economico-sociale, tuttavia, la precaria conciliazione tra due sistemi di disuguaglianze, uno sociale e l’altro territoriale, richiederebbe una quantità di risorse incompatibile con la crisi in atto.
In particolare l’applicazione dei Lep e dei costi standard, alzando la spesa al Sud senza poter abbassare la spesa al Nord, comporterebbe un maggior onere per la finanza pubblica dell’ordine delle decine di miliardi. È possibile, perciò, fermare la Controriforma. Magari costruendo, a partire dai movimenti in atto, un progetto alternativo di piena attuazione della Costituzione repubblicana.