La malinconia-Censis non è depressione, nè angoscia. C’è speranza

Diego De Silva La Stampa 3 dicembre 2022
Se la malinconia si prende l’Italia
E così, secondo il Censis, l’Italia sarebbe diventata malinconica. La prosecuzione della guerra, l’assalto progressivo dell’inflazione, la crisi energetica, il timore di un conflitto mondiale, il terrore del carobollette e la vasta gamma di pensieri nefasti connessi al tragico periodo che stiamo attraversando avrebbero generato un’angoscia pervasiva e tendenzialmente stabile, che ci avrebbe rifatto i connotati psicologici.

 

Più esattamente, staremmo attraversando uno “stato di latenza”, che così a orecchio non è concetto che si capisca proprio al volo; poi vai a documentarti e scopri che la latenza, in medicina, è il tempo compreso fra la comparsa della malattia e l’insorgenza dei suoi sintomi.

Se così è, la malinconia indotta dai guai che stiamo passando in quest’anno sciagurato (che quando volgerà al termine sarà sempre troppo tardi) starebbe ancora covando nella nostra psiche; e noi, in più o meno consapevole attesa delle sue molteplici manifestazioni, non avremmo ancora visto niente (ah, che bella diagnosi, che belle prospettive: grazie, Censis).

La malinconia, in quest’accezione sociologica, farebbe un po’ le veci della depressione. Uno stato di rassegnazione al peggio, all’idea che le cose non potranno che andar male o, a tutto concedere, mantenersi in una condizione d’infelice tollerabilità, che appassisce il senso della vita, spegne il sorriso, demotiva il gesto, inibisce l’iniziativa e sopprime la speranza.

Andando sul personale (per chi conosce i libri che ho dedicato all’avvocato Malinconico, o ha seguito la recente serie tv), devo dire – anche se la mia opinione lascerà il Censis del tutto indifferente – che l’uso della categoria malinconica per descrivere lo stato di cui sopra mi pare abbastanza improprio. Essendo convinto di appartenere alla famiglia dei malinconici fin dall’età di sei anni, ho sempre pensato che la malinconia non abbia alcuna genesi traumatica, ma sia piuttosto una tonalità minore dell’animo, una tristezza senza oggetto, congenita e incurabile, che coglie dal nulla l’infelicità dello stare al mondo senza essere assolutamente in grado di dimostrarla.

La malinconia è sì sintomatica di una mancanza, ma il malinconico, a differenza del triste, non ha idea di cosa la provochi, né sa come affrontarla. La sola cosa che gli riesce è abbandonarsi a quel languore, a quel dolore sopportabile e neanche privo di piacere (che infatti a volte gli procura qualche rimorchio imprevisto), che qualcuno nelle vicinanze ogni tanto intercetta, tant’è che gli domanda: “Ma che ti prende?”, e lui: “Niente”, che è l’unica risposta che può dare, dato che cercare di spiegarsi sarebbe come spiegare una poesia, o peggio ancora il finale di una barzelletta (al che quell’altro dice: “Màh”, e la chiude lì).

Altro è l’angoscia, la percezione della precarietà della vita causata dal suo costo, dalla crisi economica, dalla chiusura di un’azienda, dalla mortificazione intima che proviamo nell’essere testimoni, o almeno contemporanei, di una guerra infame. Quella non è – mi permetto – malinconia, ma ben altro: è angoscia, indignazione, senso d’impotenza. Disperazione.

Ora: è chiaro che scrivere “L’Italia è un paese di malinconici” piuttosto che “L’Italia è un paese di depressi”, ha tutt’altro suono. Non rassicura, ma implica una quota di speranza. Nel pensiero comune, infatti, la malinconia è uno stato passeggero (ed è così: sono i picchi ad essere patologici), dunque superabile, che non nega un futuro ma lo implica.

Potremmo dire, allora, che la Malinconia-Censis è una malinconia politica, refertata su larga scala per prendere sul serio i timori di un popolo destabilizzato dalla crisi, scongiurando strategicamente una diagnosi di depressione. Perché la malinconia, come ben sanno quelli che ce l’hanno in dotazione, non è incompatibile con la speranza. La depressione sì.

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.