Una squadra e niente correnti, la Schlein è la novità scomoda del Pd

Annalisa Cuzzocrea La Stampa 5 dicembre 2022
Pd, l’ora di Elly Schlein
Non ce ne facciamo nulla di una premier che non aiuta le altre donne e le penalizza. Questo governo punisce i poveri e premia gli evasori

Per la prima volta non si intravedono padrini. Nemmeno nascosti, non credeteci, non ci sono. Nel quartiere scartavetrato alle spalle della stazione Tiburtina, in un posto come il Monk che a Roma significa soprattutto giovani e musica, Elly Schlein – giacca blu elettrico, jeans, sneakers – dice forte: «Voglio diventare la segretaria del nuovo Partito democratico». E le centinaia di persone che hanno aspettato quelle parole, proprio quelle, per due ore, scattano in piedi, intonano forte Bella ciao, gridano «Brava» e non si fermano più.

«Avevo bisogno di essere in mezzo a loro – spiega la deputata Pd a La Stampa dal treno che la riporta a casa – per dire che sì, ci sono. Era importante farlo insieme perché la spinta viene da lì, dal basso, da quello che si muove dentro e fuori il Pd. Dovevamo guardarci in faccia e dirci: facciamolo. Dovevo sentire questo vento, e il vento è arrivato».

Sembra un’ossessione, il noi, per Schlein. Non pensa a un ticket, ma «a una squadra dei più competenti, non dei più fedeli, che nascerà nelle prossime settimane». Fatta soprattutto – non potrebbe essere altrimenti – di giovani e donne. Perché la classe dirigente dem, vista da qui, è tutta da ripensare. E pazienza per chi dice che dietro ci sono sempre le correnti, che c’è Dario Franceschini con la sua AreaDem e infatti un po’ nascosta in sala c’era la moglie, deputata, Michela De Biase. Che la sinistra Pd è già della partita anche se Andrea Orlando scalpita e Goffredo Bettini non si capacita. Mentre Peppe Provenzano arriva subito, non perde una parola, applaude forte quando si tratta di difendere il lavoro e affossare l’autonomia differenziata. Oltre a lui, riconoscibili, Laura Boldrini, Cecilia D’Elia.

«Non sono solo le mie parole a sfidare la logica delle correnti – dice Schlein dal treno – è il mio percorso. Ho lanciato un appello alle persone libere che vogliono partecipare alla ricostruzione di un campo ecologista, progressista, femminista, e questa ricostruzione non si può fare senza la comunità democratica». Due giorni prima, davanti alle veline che dai quartier generali dei capicorrente arrivavano nelle redazioni a dire «non ce la fa, sta per mollare, resterà solo Bonaccini», lei aveva scherzato: «Ma poi io non dico “non ce la faccio” neanche davanti a una torta a sei piani!». E quindi via, come se niente fosse, anche se quelle voci erano state create ad arte per indebolirne la corsa. Per farla apparire quello che non è: fragile, indecisa.

Non è la fragilità a spezzarle la voce quando – poco dopo le dieci del mattino – prende la parola per ringraziare chi c’è, e soprattutto la sua famiglia in un momento così difficile dopo l’attentato degli anarchici alla sorella Susanna ad Atene. Né a riempirle gli occhi di lacrime quando ricorda Antonio Prisco, un compagno di battaglie cui ieri veniva dedicato un murales a Napoli, sindacalista degli ultimi, organizzatore della prima manifestazione nazionale dei rider.

Sono due momenti in cui un messaggio che è a volte troppo corretto, troppo perfetto, si scalda ed entra in connessione con chi è venuto ad ascoltare. Ci sono 160 sedie disposte a cerchio, al Monk, ma ci sono molti moltissimi posti in piedi. Ceto medio riflessivo, si direbbe a guardare chi è seduto. I più giovani sono dietro, riempiono gli spazi e la sala accanto. Ma il primo pensiero è per chi non c’è: «Verremo noi», promette Schlein, che assicura di essere pronta a un giro tra la base con taccuino in mano e zaino in spalla.

Per dimostrare che l’ascolto viene prima del resto, parlano – prima di lei – Giulia Pelucchi, 32 anni, presidente del nono municipio di Milano, quello con la maggior concentrazione di case popolari; Noemi De Santis, imprenditrice digitale; Elvira Tarsitano, assessora all’Ambiente e alla Bioeconomia di Mola di Bari («Non esiste il Sud piagnone, esiste un Sud che innova»); Michela Vailati, architetta con tre lauree ma alle prese col gender gap. E ancora Michele Franchi, ex compagno di battaglie universitarie ora sindaco di Arquata del Tronto, che dice: «Abbiamo fatto il programma più progressista, ma non siamo stati capiti perché erano sbagliate le persone». Infine Matteo Rossi, ex presidente della provincia di Bergamo, che esordisce parlando al sindaco Giorgio Gori, incerto se rimanere nel Pd nel caso vinca Schlein: «Il tema non è chi se ne va – dice tra gli applausi – ma chi portiamo dentro. È provare a dirsi come vivere in un mondo nuovo senza far morire il pianeta».

Schlein beve dalla borraccia ecologica, perché tutto sembra improvvisato, ma nulla lo è davvero. Poi tocca a lei. Ringrazia le colleghe e i colleghi parlamentari che scorge in mezzo agli altri, «ci si sente meno soli». Poi affonda: «In poche settimane questo governo ha mostrato il volto peggiore della destra nazionalista, con la norma anti-rave che hanno dovuto riscrivere, la crudeltà di bloccare le persone in mezzo al mare salvo poi accorgersi che non si può fare, l’attacco al reddito di cittadinanza che, lo dice l’Istat, ha impedito a un milione di persone di scivolare verso la povertà». E quindi, «ministri inadeguati, una manovra che fa redistribuzione al contrario, punendo i poveri e premiando gli evasori».

Parla di un Paese in cui le parole «lavoro e povero non dovrebbero più stare insieme», la candidata alla segreteria del Pd. Dice: «Dobbiamo ammettere che degli errori li ha fatti anche il centrosinistra in quanto a precarietà». E quindi, «possiamo dirci che il modello neoliberista è fallito, che si nutre di diseguaglianze, che danneggia il pianeta, o dobbiamo dire che in questi anni è andato tutto bene?».

È un crescendo, quando attacca il progetto «folle» di autonomia differenziata del ministro delle Riforme Calderoli (dando così una stoccata implicita alle aperture del suo rivale Bonaccini), «perché non ci sarà riscatto per l’Italia finché non ci sarà riscatto per il Sud». Quando dice, della presidente del Consiglio, «Non ce ne facciamo nulla di una donna che non aiuta le altre donne, che le penalizza con una manovra che restringe opzione donna e discrimina per numero di figli».

E invece, se si volesse davvero aiutare chi lavora, servirebbe il congedo paritario, come in Spagna. «Un nuovo welfare, diciamolo alla destra, non è un costo, è un investimento». Scuola pubblica, nidi, sanità pubblica. «Non è giustizia aspettare 200 giorni per una mammografia quando qualcuno può risolverla con una carta di credito». Beni comuni, rifiuto di un’idea di merito che dimentica condizioni di partenza diseguali. Diritto alla casa, «che è di sinistra», e qui gli applausi si fanno più forti. «Liberare le persone dai bisogni, dalla ricattabilità delle mafie di cui non si parla più. E un abbraccio a Roberto Saviano, chiediamo alla premier di ritirare la querela contro di lui perché il dislivello è enorme, non si possono colpire gli intellettuali». Quindi salario minimo, i diritti civili «che non si possono scindere da quelli sociali, chi lo fa non vuole promuovere né gli uni né gli altri», la lotta «che paga sempre», l’impegno a non fare come gli altri: «Noi non ce ne andremo in nessun caso, il Pd, che è l’unico partito non personale rimasto, deve restare un partito plurale». E ancora, il progetto federalista europeo da rilanciare per un’Ue forte, che si faccia promotrice di una conferenza di pace «dopo l’invasione criminale di Putin in Ucraina».

Ma oltre alla battaglia delle idee, c’è quella più politica, e così arriva la risposta alle accuse di Matteo Renzi, riassumibili in un: «Senza di me Schlein non sarebbe nessuno». Ricorda le 53 mila preferenze prese in una campagna porta a porta alle europee, la deputata Pd. «Invece a Renzi va dato il merito di aver spinto me e tanti altri fuori dal Pd con una gestione arrogante, incapace di fare sintesi delle diversità». Dal fondo urlano «brava, bravaaa», lei continua: «Dopo aver umiliato chiunque avesse un’idea diversa, con le sue scelte ha lasciato macerie, è andato a fare altro, non capisco perché sia così interessato al congresso Pd. Non ci faremo dire da chi sta flirtando con la destra cosa dobbiamo fare per ricostruire la sinistra». Lei, intanto, riprenderà la tessera già questa settimana.

Più morbida con Bonaccini, cui fa gli auguri insieme agli altri candidati, ricorda la loro capacità di fare «una sintesi alta tra idee molto diverse» quando era la sua vice in Emilia-Romagna. Dal fondo le urlano: «Tu sei meglioooo». Lei finge di non sentire. E ancora a chi in questi giorni ha cercato di mercanteggiare un appoggio, «venite liberi o non venite affatto», dice Schlein. Perché «lo so, è difficile accettare una donna che si fa strada senza farsi strumento di altri, ma non siamo qui per fare una nuova corrente. Non ci saranno mai gli schleiniani. Siamo qui per superarle tutte con un’onda di partecipazione». Quando è già sul treno chiediamo: «Chi ha chiamato per primo? Prodi?». Lei – animatrice di Occupy Pd dopo il tradimento dei 101 quando il prof era candidato al Colle – ride: «Non ho ancora risposto a nessuno, sono stata travolta. E su WhatsApp ho 101 messaggi non letti».

 

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