Federico Geremicca La Stampa 6 dicembre 2022
Bonaccini-Schlein, sfida tra opposti: l’impresa disperata di rianimare il Pd
Il portabandiera del partito degli amministratori contro la rivoluzionaria che vuole azzerare i dem. Si va verso il Congresso con il pericolo di sempre: nuovi abbandoni che stavolta sarebbero fatali
Se dovessimo stare ai sondaggi – che nelle ultime elezioni politiche, per altro, hanno ben anticipato il risultato finale – quella che è oggi di fronte al Partito democratico andrebbe considerata un’impresa disperata. Fosse un film, il titolo sarebbe scontato: Mission impossible. Dal giorno del voto a oggi, infatti, la perdita di consenso avrebbe ulteriormente accelerato. A seconda degli istituti di ricerca, in meno di due mesi e mezzo il calo sarebbe stato tra i due punti e mezzo e i tre (più di quanto perso nei quattro anni precedenti, 2018-2022): secondo Swg, il partito di Conte avrebbe già superato quello di Letta, sceso sotto il 16%; Euromedia, invece, fotografa i democratici ancora in leggero vantaggio sui Cinquestelle. Ma la tendenza, se nulla cambiasse, lascia immaginare che il sorpasso possa essere solo questione di tempo…
A determinare l’ulteriore calo del Pd hanno concorso e concorrono, evidentemente, diversi fattori: e non è da escludere che anche la scelta di drammatizzare la sconfitta subita ci abbia aggiunto del suo. Politicamente, come è ovvio, il colpo è stato devastante: ma a fronte di una sostanziale tenuta elettorale (movimenti come i Cinquestelle e la Lega sono stati più che dimezzati dall’avanzata di Fratelli d’Italia) precipitare subito il confronto addirittura sull’esistenza in vita del Pd – da sciogliere e rifondare con un nuovo nome – ha trasmesso l’idea di un disorientamento crescente. E uno degli effetti collaterali di quel tipo di discussione, per altro, comincia a manifestarsi adesso, a confronto congressuale avviato: se la situazione è nei termini indicati – tutto sbagliato e da rifare, senza nemmeno escludere lo scioglimento – allora è chiaro che tra le candidature per ora in campo una sola sembra corrispondente e adeguata all’analisi di partenza. Ed è, ovviamente, quella di Elly Schlein.
Infatti, a prescindere dalle loro reali intenzioni – e in attesa di nuovi candidati – Stefano Bonaccini ed Elly Schlein si ritrovano cuciti addosso due vestiti per nulla comodi. La sintesi che rischia di diventare prevalente, potrebbe infatti presentarli così: il primo è il portabandiera del “partito degli amministratori” e di larga parte dello stato maggiore, vuole «smontare e rimontare», cambiare – insomma – ma senza esagerare; la seconda, al contrario, è l’annuncio dell’invocata rivoluzione, nulla sarà più come prima, nei toni, nei modi e soprattutto nei contenuti. Una tale rappresentazione – oltre che semplicistica – porta con sé un rischio mortale e nient’affatto sconosciuto al Pd: che le due idee di partito coltivate dai candidati siano così incomponibili e incompatibili da poter produrre l’ennesima scissione.
Il rischio è reale e – diciamo la verità – non è da oggi che aleggia su largo del Nazareno. Qualche giorno fa, Giorgio Gori – sindaco di Bergamo ed ex renziano – vi ha fatto esplicito riferimento: ma è giusto dall’uscita di Renzi dal Pd che si ipotizzano nuovi, possibili abbandoni. La questione-alleanze – con la sempre più evidente necessità di scegliere tra Conte e il tandem Calenda-Renzi – sta esasperando questo rischio: e il profilo delle candidature che si scontreranno alle primarie, ora potrebbe davvero portare a far saltare il tappo… Non è la soluzione più gradita agli uomini e alle donne che puntano alla segreteria (con Bonaccini e Schlein certamente Paola De Micheli e probabilmente Matteo Ricci, sindaco di Pesaro) ma ci sono fasi nelle quali la forza delle cose assume una propria incontrollabile traiettoria.
Al momento, i pronostici ipotizzano – come dicevamo – una sfida ristretta a Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, sua vice in Emilia-Romagna. Già lavorano assieme da tempo, dunque, e governano l’Emilia senza scossoni: eppure sembrano politicamente così diversi (e per certi versi distanti) che si fa addirittura fatica a immaginarli candidati alla guida dello stesso partito. Solo una fase come l’attuale – di incertezza e disorientamento, di ricerca addirittura di un profilo e di un’“anima” – poteva portare in campo e dare speranza di vittoria a personalità e storie così diverse. Una fase, diciamola tutta, dove niente vien dato più per sicuro, dove nulla è più scontato e il lavoro che è di fronte sembra dover essere quello di abbattere, ricostruire e ricominciare da capo.
Ma il Pd governa tutte le maggiori città del Paese, amministra regioni importanti, occupa posizioni di rilievo in Europa, esprime da tempo il Presidente della Repubblica, è in gangli vitali dello Stato e la sola idea che possa sciogliersi (meglio: liquefarsi) dovrebbe far sorridere. Ma se ne è discusso, e in parte se ne discute ancora. È possibile, invece, rilanciarlo? Dovrebbe esser precisamente l’obiettivo di questa luttuosa fase congressuale. Sempre che non si scopra, strada facendo, che per rilanciarsi il Pd debba dividersi di nuovo. Scindersi, come già accaduto prima con D’Alema, Bersani e Speranza, e poi con Calenda e Matteo Renzi. Scissioni dietro scissioni. Tanti Pd, sempre più piccoli e in guerra tra loro. Con il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti…